Dall'Arabia Saudita al Libano in omaggio all'amico morto. Protagonisti tre ventenni ex compagni di liceo: si imbatteranno in disavventure esilaranti tra metropoli e deserti. Il film in uscita nelle sale italiane il 12 maggio è già record di incassi in Medio Oriente. Nonostante qualche censura per scene "osè"
Tre amici partono per un viaggio in ricordo di un compagno di scuola che non c’è più. Attraversano Stati diversi, metropoli e deserti, in una trama che ricorda molti film già visti e molto amati, da
“Fandango” a
“Un weekend da leone”.
Solo che qui la metropoli di partenza non è New York o Los Angeles ma
Dubai, i deserti sono quelli dell’Arabia Saudita, e la città di arrivo è Beirut, dove l’amico è morto sotto i bombardamenti del 2006.
“Viaggio da paura”, in uscita il 12 maggio, inanella una quantità di omaggi e citazioni a famosi film americani che uniscono il tema del viaggio e quello del raggiungimento della maturità.
E mantiene ciò che promette: divertimento, disavventure esilaranti ma anche contrasti con le aspettative della famiglia e della società, e un finale commovente. In più, questo film costruito con grande equilibrio e con un’accurata scelta del momento in cui ambientare la storia (siamo nei 2011, in un periodo più tranquillo rispetto a oggi), apre sul mondo arabo una finestra che sorprenderà non pochi spettatori.
I
protagonisti sono
tre ventenni, ex compagni di liceo: un dj spiantato che vive con la “paghetta” da 20mila dollari l’anno inviatagli dal papà saudita (Yousef detto J, interpretato da Fahad Albutari), il blogger egiziano Rami (Shadi Alfons), attivista da salotto oppresso da una mamma iperprotettiva, e il siriano Omar (Fadi Rifaai), che per partire con gli amici lascia la moglie alla vigilia del parto. Da Dubai, dove vivono, i tre arriveranno in Libano, attraversando Arabia Saudita, Giordania e Siria, in omaggio all’amico Hadi, morto a 18 anni e sepolto a Beirut.
Il viaggio unisce scenari splendidi e avventure tragicomiche. La scena più drammatica è l’incontro con i miliziani siriani, la più
“osé” quella con i poliziotti sauditi, scena che è stata tagliata dalla
censura in Kuwait. E in Arabia Saudita, paese che, insieme agli Emirati e alla Giordania è tra i produttori del film? «Lì non c’è stato problema perché non ci sono proprio sale cinematografiche, chi vuole vedere un film va in un altro Paese», spiega il regista
Ali F. Mostafa, 35 anni, padre degli Emirati e madre londinese.
Che dal medio oriente arrivi un film che fa ridere, per il pubblico italiano è una notizia. E questo film, campione d’incassi nei nove paesi del medio oriente nei quali è stato distribuito («un record», lo ha definito il produttore
Paul Baboudijian, armeno libanese trapiantato in Italia) riesce a far ridere dei cliché che circondano la cultura araba, ma anche a raccontare le tragedie che attraversano quel mondo.
Perché se a Beirut la guerra è finita, e la città sembra ritornata ad essere come un tempo la capitale della “dolce vita” del Medio Oriente, in
Siria la situazione oggi è molto più tragica di quella raccontata nel film.