C'è il pericolo del crollo dei mercati? E Renzi in qualche caso lascerà veramente palazzo Chigi? Tra allarmismi e retroscena, il voto del 4 dicembre avrà comunque una serie di conseguenze. Abbiamo provato a ipotizzare i diversi scenari

Cosa succede a palazzo Chigi se vince il Sì?
La maggior parte dei pronostici in caso di vittoria del Sì, vede Renzi restare al governo e al vertice del Pd. Più forte nei confronti della minoranza dem che - salvo Gianni Cuperlo - si è dichiarata per il No. C’è da dire, però, che i deputati più vicini al premier non sgomitano per confermare e anzi numerosi sono i «non commento» che abbiamo messo in fila. Tutto dunque può succedere, ma è in caso di vittoria del No che si verifecherebbero i cambiamenti più probabili.

E se vince il No Renzi lascia veramente il governo?
«Se si tratta di galleggiare, io non ci sto» ha detto in più occasioni il presidente del Consiglio. Quindi, se vince il No, Matteo Renzi dovrebbe lasciare palazzo Chigi. Ma non è detto neanche questo, perché tra i sostenitori del Sì che abbiamo sentito c’è ad esempio Gennaro Migliore, deputato dem - eletto con Sinistra e libertà - e sottosegretario alla Giustizia. Migliore ci ha spiegato che «la scadenza della legislatura è quella naturale e lo sarà in ogni caso». Dice così, Migliore, «perché il percorso di questa legislatura e del governo non deve esser legato all’esito del referendum», perché - in sostanza - non bisogna personalizzare. Ma tiene anche aperta la porta, Migliore, con queste parole, e lo sa benissimo, anche se rimane sul principio. «Quello che succederà», continua, «è legato alle circostanze politiche che seguiranno il referendum». Non sembra però così campato in aria quello che dice sicuro l’ex dem Pippo Civati: «Il destino politico di Renzi è legato alla riforma», dice ironico il deputato di Possibile, «ma vorrei rassicurare tutti: molto probabilmente la stessa maggioranza farà un nuovo governo e magari con Renzi premier».

E al Pd che succede?
Se con il No è probabile ma non certo che Renzi lasci palazzo Chigi, escluso è invece che lasci la guida del Pd, la sede nazionale di via del Nazareno. Si dovrà rassegnare la minoranza interna che vorrebbe in quegli uffici un segretario di garanzia fino a nuove primarie. Renzi sa benissimo, infatti, che in caso di vittoria del No le urne si avvicinano ma non sono immediate. Servirà infatti una nuova legge elettorale, visto che l’Italicum è pensato per la sola Camera dei Deputati, dando il Senato per riformato, e servirà dunque un governo - il suo o un altro - che duri almeno il tempo di fare questa riforma. Renzi si è detto contrario a «governicchi», per potersi sfilare da palazzo Chigi lasciando ad altri il compito. Da segretario del Pd potrà così mantenere le distanze «dalla palude», pur consentendo, alla fine, la nascita di un esecutivo-ponte. Franceschini, Calenda, Grasso. I candidati sono molti e tutto sommato equivalenti: tutti saranno trattati da Renzi come Enrico Letta.

E quindi quando si tornerà a votare?
Sciogliere le Camere e indire nuove elezioni è prerogativa del presidente della Repubblica Sergio Mattarella che dovrà tenere conto dei malumori di Matteo Renzi, che si mostrerà ansioso di misurarsi con le urne, sapendo però - questo è il punto - che la linea del segretario dem non è detto sia gradita ai gruppi parlamentari, soprattutto a quelli del Pd, che sono i più numerosi, e sono stati eletti quando segretario era Bersani. È probabile, insomma, che il parlamento non voglia andare al voto e trovi, dandosi il legittimo obiettivo di una nuova legge elettorale, i numeri per un governo di scopo. Che potrebbe essere un governo Renzi, ma è più probabile sia, come detto, un governo dal profilo più istituzionale.
 
Ma l’Europa, in caso di bocciatura della riforma, cosa farà?
«L’Italia non è più considerata il problema d’Europa ma dobbiamo continuare a migliorarci» scrive Renzi nella lettera inviata agli italiani all’estero e in cui elenca le ragioni per cui bisogna votare sì. Prima fra tutte, il far «rispettare il nostro Paese fuori dai confini nazionali». Il presidente del Consiglio, dunque, ne fa una questione di affidabilità. E che la capacità dell’Italia di approvare le riforme sia importante per l'Europa, o almeno di una sua parte, è sicuramente vero. Meno vero è però che sia la riforma costituzionale quella a cui Germania e Commissione tengono di più. Anche con il bicameralismo perfetto, infatti, l’Italia ha riformato il mercato del lavoro e aumentato l’età pensionabile, ad esempio. Angela Merkel lo sa come lo sanno le istituzioni europee, che avevano chiesto espressamente queste riforme, nominate già nella celebre lettera del 2011. Il referendum costituzionale, dunque, non è la nostra Brexit anche se Matteo Renzi, sicuramente, avrebbe qualche credito in più da spendere portando a casa questo Sì.

Ma il Sì è un argine all’avanzata dei Trump d’Europa?
È quello che scrive, subito rilanciato dal comitato Bastaunsì, Michele Santoro. «Finalmente qualcuno ammette autorevolmente che l’apocalisse non è un’invenzione di Renzi e si può concretamente verificare», scrive il conduttore, citando il post con cui Beppe Grillo ha accolto entusiasta la vittoria di Trump, che sarebbe per l’ex comico e i suoi simile all’inevitabile avanzata del Movimento 5 stelle. I sostenitori del Sì, dunque, sostengono che l’approvazione della riforma sia uno stop ai populismi, a una possibile avanzata, in Italia, del Movimento 5 stelle e di Matteo Salvini, entrambi per il No.
Siamo però nel campo delle opinioni tant’è che altri, dal fronte del No, fanno notare che è invece il combinato disposto della riforma di Matteo Renzi e dell’Italicum a spianare la strada al Movimento 5 stelle e (ma è più lontano nei sondaggi) a un centrodestra a guida Matteo Salvini. La minoranza dem proprio per questo chiede da mesi di rivedere la legge elettorale (e si dice insoddisfatta del documento siglato da Gianni Cuperlo con la maggioranza). Tra Italicum e riforma per Bersani si rischia di «finire contro un muro». Non si capacita, Bersani, di «come faccia Renzi a non vedere quel che sta succedendo in Europa e nel mondo». «Come fa a non sentire quel che ribolle sotto di noi?», si chiede l’ex segretario dem: «Si comporta da irresponsabile. Il 2018 è lì che arriva. E se vince il Sì e lui tira dritto, senza cambiare l'Italicum, andiamo a finire contro un muro».

Con il No i mercati crolleranno?
Confindustria, a giugno, conquistando le prime pagine estive, ha fatto fare una proiezione al suo ufficio studi. La previsione è fosca e spinge il Sì: per gli industriali guidati da Vincenzo Boccia: «con il No l’Italia ripiomberebbe in recessione». Via sei punti di Pil in tre anni, 600mila posti di lavoro e, soprattutto, miliardi di investimenti esteri. Lo studio viene ancora citato da chi minaccia tempi bui in caso di vittoria del No. L’argomento è insomma in voga anche se i precedenti della Brexit e di Trump - più recente - dovrebbero suggerire maggiore prudenza. Anche su Trump, infatti, dopo i primi titoli allarmisti le agenzie hanno tutte battuto frasi incoraggianti. «I mercati hanno assorbito presto l'effetto negativo dell'elezione di Donald Trump alla guida degli Stati Uniti», scrive ad esempio l’Ansa, il 9 novembre: «dopo un inizio in rosso, legati ai timori per le conseguenze delle scelte economiche annunciate dal magnate, le Borse europee hanno girato in positivo». La reazione dei mercati al voto del 4 dicembre è così un argomento come tanti altri, su cui dividersi. «Con le riforme sale il Pil, senza riforme sale lo spread», twitta ad esempio Matteo Renzi.
Ma anche Mediolanum ha scritto di un «allarmismo eccessivo». E lo ha fatto muovendo da posizioni non certo ostili al governo. Anzi. Gli analisti di Mediolanum si sono spinti a dire che l’unica preoccupazione per investitori dovrebbe esser la legge elettorale che rischia di essere un assist per i populismi nostrani, contrari alle altre riforme strutturale, quelle approvate e quelle ancora da approvare, che ai mercati interessano molto di più. Ecco che allora che una vittoria del Sì favorisce una stabilità politica, introducendo però l’incognita nel 2018. E la vittoria del No, al contrario, rende obbligatorio rivedere la legge elettorale, «legge elettorale disegnata per sostenere il premier, ma che ha finito per agevolare il Movimento 5 stelle».
Quello su cui però molti commentatori e analisti concordano è che l'indebolimento del governo potrebbe essere il pretesto utile a molti investitori per sfilarsi dalla delicata partita della banche italiane, tra l'aumento di capitale di Unicredit e il caso del Monte dei Paschi.