E' morto il boss dei Casalesi che si era pentito negli anni '90. Da collaboratore di giustizia per primo parlò dei veleni sversati in Campania. Ritenuto attendibile nelle aule di giustizia, meno per le ultime dichiarazioni rilasciate a tv e giornali

Carmine Schiavone si è spento, ieri, nel viterbese dove viveva da alcuni anni. Sui social, da tg e giornali, è rimbalzata la notizia: «Morto il boss pentito dei Casalesi che ha svelato i traffici illeciti di rifiuti tossici». In questa frase c'è solo una mezza verità e il racconto di una vita divisa tra una collaborazione indispensabile e l'ultima stagione, ricolma di presunte rivelazioni e comparsate da star tv.

Schiavone, cugino del famigerato Francesco, detto Sandokan, viene associato, a partire dal 2013, ormai finito il programma di protezione, al grande clamore mediatico generato dalle sue dichiarazioni, dalle sue continue apparizioni in tv e alle annunciate dirompenti verità sulle rotte illegali del pattume tossico.

La realtà è quella di un collaboratore di giustizia che nella prima fase del suo pentimento, iniziata nel 1993, ha dato un contributo necessario, importante, per certi versi straordinario, per ricostruire la struttura criminale dei Casalesi, struttura che lo vedeva protagonista nel ruolo di amministratore, cassiere del clan. Il suo pentimento ha rotto il muro di omertà e contribuì all'arresto di decine di affiliati al clan, operazione dalla quale scaturì il maxiprocesso contro i Casalesi, ribattezzato Spartacus.

Processo che ha portato a sentenze definitive in Cassazione per i vertici del clan grazie al necessario contributo anche di altri pentiti. Il suo nome ritorna nel 2008. La notizia è che Schiavone avrebbe raccontato a fonti di polizia di un possibile attentato ai danni dello scrittore Roberto Saviano. Non emersero riscontri concreti e Schiavone, interrogato dai pm, negò. Dal 2013 inizia a dichiarare a tv e giornali le sue presunte verità sui traffici illeciti di rifiuti e soprattutto urla in ogni dove l'insabbiamento di molte delle sue denunce. Verrà anche ascoltato dai magistrati della Procura di Napoli, ma a verbale non ripeterà e indicherà alcun insabbiamento.

Arrivò perfino ad accusare Raffaele Cantone, oggi presidente dell'anticorruzione, di non aver fatto un cavolo per sette  anni. Cantone annunciò querela per diffamazione e soprattutto spiegò: «Schiavone ha detto un cumulo di stupidaggini». Il magistrato Federico Cafiero De Raho, pm del processo Spartacus, chiarì: «Tutte le dichirazioni fatte da Schiavone sono state verificate». De Raho, oggi a capo della Procura di Reggio Calabria, chiede i necessari accertamenti sulla morte di Carmine Schiavone, deceduto, stando alle prime notizie, per un infarto.

La politica fu investita dal clamore mediatico e diversi partiti cercarono di accreditarsi agli occhi dell'opinione pubblica il merito della desecratazione dell'audizione di Carmine Schiavone in commissione ecomafie, datata 1997. Documento desecretato, a fine 2013, che al netto dei presagi funerei, «Moriranno tutti in 20 anni», non conteneva nulla di nuovo su nomi e responsabili del disastro campano. Per quel documento secretato arrivarono attaccchi, da più parti, all'allora Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano che all'epoca dei fatti era ministro dell'Interno partendo dall'assunto che quell'audizione contenesse verità indicibili.

La secretazione venne, come da prassi, disposta perché vi erano indagini in corso. In realtà i pochi nomi che si ritrovano in quel documento erano già emersi nel 1993 con l'inchiesta Adelphi che aveva svelato il ruolo dei massoni, della politica e dei clan nel grande affare dei rifiuti tossici. Operazione Adelphi che portò anche ad un processo finito tra prescrizione, assoluzioni e poche condanne.

Carmine Schiavone era a conoscenza della mattanza ambientale e ai pm spiegò anche i guadagni della camorra: «Un giro di affari da 700 milioni di lire al mese», ma quando ha indicato siti o terreni contaminati, i riscontri non hanno dato alcun esito.

Troppi gli anni trascorsi, ma anche perché Schiavone sapeva dei traffici, ma non ha mai avuto un ruolo diretto negli smaltimenti. La conferma arriva da chi, invece, è stato per anni il vertice imprenditoriale di questa mattanza.

"L'Espresso" può riportare in esclusiva quanto raccontato, da Gaetano Vassallo, imprenditore dei rifiuti, legato al clan dei Casalesi, oggi pentito, su Carmine Schiavone: «Io non l'ho mai incontrato, non l'ho mai visto. Lui ha parlato per sentito dire, lui non sa niente. Per quanto a mia conoscenza, Schiavone non ha mai avuto un ruolo nel grande affare dello smaltimento dei rifiuti tossici». Schiavone parlò anche dell'interramento di rifiuti radioattivi, mai trovati. Su questo Vassallo è chiaro:«Mai visti neanche quelli, non li abbiamo mai scaricati».