Toglie la fame, non si cucina. Non ha gusto e molte promesse: nutre ma non inquina, non causa sprechi né sfruttamento. Ma è mangiare, questo?

Se sognate una vita a impatto zero, forse Soylent vi piacerà. È nutriente, politicamente corretto e approvato dalla comunità vegana, sempre più importante. Toglie la fame, ci evita di fare la spesa e cucinare. È utilizzabile quasi al cento per cento, perciò l’intestino deve lavorare pochissimo. Niente scarti, appena un pugno di fibre da smaltire: c’è un risparmio anche sulla carta igienica. Ogni scatola acquistata sul sito contiene sette sacchetti di Soylent in polvere, sette bottigliette con un mix di olio di fegato di merluzzo e di colza, un pentolino per calcolare la quantità e una brocca da due litri. Si mescola il tutto, si aggiunge l’acqua ed è subito pronto: una brodaglia beige, quanto di più lontano dal food design, da una cena romantica o dallo spirito del tempo che del cibo ha fatto un’ossessione etica, estetica e filosofica. Un bel bicchierone e via.

Gli ingredienti principali sono carboidrati, maltodestrine, farina d’avena, acidi grassi, Omega-3, vitamine B, C, E, sodio, manganese, magnesio, calcio, fosforo, ferro, potassio, zinco e fibre. La formula è open source, non ci sono segreti come con la Coca-Cola. E qualcuno (il giornalista e blogger Alberto Mucci) se l’è preparato da solo, visto che in Europa non è ancora stato autorizzato. Soylent è “figlio” di Rob Rhinehart, fantasioso ingegnere informatico di 25 anni di base a San Francisco, che dopo aver provato a progettare torrette telefoniche- ed è andata male- s’è dedicato al cibo. Si è detto: spendiamo troppo per mangiare sano e metà del mondo è affamata, possibile che non ci sia soluzione? Ha raccolto le sostanze necessarie a un uomo medio, le ha frullate e polverizzate, risolvendo molti problemi in un colpo solo.

Il massimo della nutrizione con il minimo sforzo, un fast food che costa meno di un hamburger (tre dollari a porzione). Per produrlo non servono piantagioni o allevamenti di animali che consumano energia e liberano anidride carbonica. Non si opprimono lavoratori, non si disboscano foreste. Però si sconfigge l’obesità. Niente code per comprare pollo e patatine né affannose ricerche di carote bio. Estremizzando: niente più freezer, dispense, abbattitori, piatti, forchette, pentole, sgrassatori, shopping gourmet. Anche i molari diventano l’eredità decorativa di un’epoca passata. Preistoria. La storia è Soylent, cibo a basso costo contro carestie e fame.

Il nome è ispirato alle gallette di un popolare film di fantascienza del 1973 con Charlton Heston, “2022: i sopravvissuti “(“Soylent Green”): peccato che le razioni fossero ricavate dai cadaveri… Il riferimento visivamente più simile è invece il “sapone” bevuto dalle povere replicanti umane nel tetro futuro di “Cloud Atlas”. In Rhinehart però non c’è niente di oscuro e apocalittico. Ha sperimentato personalmente il beverone raccontando i dettagli sul sito della Soylent Hq con il post «Come ho smesso di mangiare cibo». I primi tentativi non hanno funzionato ma, trovata la formula giusta, si è sentito pieno di energia e lucido, ed è sparita anche la forfora. È stato convincente. La campagna di crowdfunding ha raccolto un milione e mezzo di dollari, raddoppiati con il provvidenziale intervento di Marc Andreesen e Ben Horowitz, famosi investitori in startup come Twitter. Il lancio è stato un successo: sono arrivati pre-ordini per un milione di dollari, era più facile trovare un posto in un ristorante al top che procurarsi subito una dose di Soylent. In giugno una confezione da 300 dollari viene venduta a 555 su eBay. Il “New Yorker” gli dedica l’articolo “La fine del cibo”.

Eppure prodotti simili non sono una novità (chi non ricorda Slim fast e altri?). C’è una differenza però: il marketing. Quelli erano pasti sostitutivi pensati per anziani o sportivi o per chi doveva mettersi a dieta (anche di malumore); qui invece abbiamo una promessa di basso impatto e sostenibilità. Soylent porta la sua utopia oltre i mercati bio dei “veri” del contadini e persino oltre i trattori a energia solare. È diverso per via della sua origine nel mondo delle startup tecnologiche: è pensato per una nicchia piccola e privilegiata. Quella in cui il giovane ambizioso imprenditore che vuole mostrarsi già troppo impegnato per fare una pausa pranzo mescola un Soylent con il robot in pochi secondi e si ricarica con 600 calorie meticolosamente calcolate: in cui il globetrotter gourmet ormai stufo di cipolle caramellate e cosciotto ripieno di ostriche si concede uno stop monastico e detox.

Non che tutti siano d’accordo. «Ho trovato Soylent punitivamente noioso e triste», scrive Farhad Manjoo sul “New York Times”. Chris Ziegler, founding editor del magazine online The Verge, dopo un mese a Soylent ha perso 6 chili senza soffrire la fame eppure non si è convertito: «I pasti in polvere possono saziare il corpo, ma lasciano l’anima a secco». Brian Merchant, giornalista del sito Materboard ne ha persi cinque, come in una dieta, ma non vedeva l’ora di tornare a far baldoria. Per Christoph Klotter, professore di Psicologia dell’alimentazione, Soylent è assurdo: «Il nostro cervello include l’esperienza del piacere e della motivazione per ottenere e consumare cibo appetitoso. Rob Rhinehart deve essere completamente privo di gusto». In realtà non è così. Il nostro ingegnere informatico ama il sushi e le grigliate, ma soltanto due volte la settimana. «Non doversi preoccupare del cibo è fantastico», esulta: «Io mi sento liberato da un sacco di fatiche». Alfredo Vanotti, professore di Dietologia all’Università di Milano-Bicocca è moderatamente scettico: «Nessun mix miracoloso può sostituire un’alimentazione varia e bilanciata. Stiamo scoprendo tantissime cose che non sapevamo sugli antociani, sui polifenoli, sul caffè, sul cioccolato. A qualsiasi beverone, per quanto sofisticato, mancherà una componente importante. Soylent è espressione della tecnologia che avanza. È adatto a gente che vuole nutrirsi velocemente per occuparsi d’altro».

Marco Bianchi, chef-scienziato che ha trasformato la nutraceutica in spettacolo televisivo (“Tesoro salviamo i ragazzi” ,“Aiuto, stiamo ingrassando”) ha un mantra: «Il cibo sano deve incontrare il gusto, altrimenti diventa sofferenza». E prepara una fantastica maionese senza uova.

Intanto il giovane Rob Rhinehart, grazie a Soylent, è diventato un uomo da sei milioni di dollari. Si capisce che ne sia entusiasta, no?