Grazie all'alleanza tra Telethon e alcuni colossi farmaceutici, si stanno mettendo a punto cure che potrebbero segnare una svolta nel trattamento di diverse malattie rare dell'infanzia.

Salsabil ha 14 anni e vive a Gerusalemme con la sua famiglia, gioca con gli altri ragazzini, va a scuola. A vederla non si direbbe che era una bambina “bolla”, nata cioè con una grave malattia rara del sistema immunitario, l’Ada-Scid, che rende totalmente indifesi di fronte alle infezioni e obbliga i piccoli a vivere isolati da tutto e tutti, come in una “bolla” appunto; e nel giro di qualche anno condanna comunque a morte. Perché lei è guarita.

Grazie a una ricerca italiana targata Telethon che, nel giro di qualche mese, diventerà una terapia genetica a disposizione di tutti. Dopo Salsabil, infatti, altri 19 bambini hanno fatto la stessa cura e sono guariti. Bastano, per una malattia così rara a dire che sì, la tecnica messa a punto dal team del Tiget, il laboratorio Telethon all’interno del San Raffaele di Milano, funziona sul serio. E bastano a convincere la stessa Telethon a fare il salto: dalle sperimentazioni finanziate dalle celebri raccolte fondi al banco di prova di un’agenzia regolatoria con l’autorità di elevare il caso Salsabil a una terapia standard.

Ma per farlo serve qualcosa di diverso dalla capacità clinica e scientifica; per mettere sul mercato un farmaco serve la capacità di standardizzare il metodo e preparare i dossier che fughino ogni dubbio. Per questo Telethon ha cercato un partner industriale, e lo ha trovato in GlaxoSmithKline. E entro la fine dell’anno arriveranno sul tavolo dell’Ema, l’ente che regola la commercializzazione di farmaci e terapie in Europa, tutti i dati necessari a convincere i tecnici. La patologia è grave e terapie non ce ne sono, quindi sono in molti a sperare che entro il 2015 la prima terapia genica messa a punto da Telethon diventerà una cura a disposizione di tutti.

Con l’arrivo dei dossier all’agenzia europea si suggella per la prima volta un nuovo modello di ricerca farmacologica, capace di offrire ai malati di patologie genetiche rare, fino a non molto tempo fa trasparenti per Big Pharma, delle soluzioni reali. «Il mandato che ci danno i pazienti è quello di trovare una cura. Per farlo noi selezioniamo e finanziamo le ricerche e le idee migliori, ma quando otteniamo un risultato dobbiamo porci anche l’obiettivo di renderlo fruibile a tutti», sottolinea Francesca Pasinelli, direttore generale di Telethon: «La ricerca per noi è un mezzo per arrivare alla cura, non il fine. Ma per produrre un farmaco ci vuole un’azienda farmaceutica. Ci siamo impegnati quindi a selezionare le aziende che ci avessero garantito le migliori condizioni: continuare la nostra ricerca in maniera indipendente e impegnarsi a portare a termine il progetto. Se non lo dovessero fare la proprietà di quanto sviluppato tornerebbe a noi».

L’accordo con GSK prevede un finanziamento iniziale di 10 milioni di euro direttamente alle casse di Telethon, a cui si sono aggiunti e si aggiungeranno altri soldi mano a mano che vengono raggiunte delle tappe intermedie di sviluppo dei farmaci; in cambio l’azienda ha la licenza esclusiva per lo sviluppo e la commercializzazione dei protocolli di terapia genica su scala mondiale. «La nostra scelta è stata dettata dal rapporto che ci lega a Telethon da 10 anni a questa parte, ma anche dalla possibilità di ampliare le nostre conoscenze in un campo dove siamo già presenti: abbiamo una tradizione nelle malattie rare o orfane con 14 farmaci», afferma Daniele Finocchiaro, presidente e amministratore delegato di GlaxoSmithKline.

E infatti la partnership fra la charity e la multinazionale non si limita ai bambini bolla. Oltre l’Ada-Scid, ormai in fase clinica, l’accordo riguarda altre sei patologie: la sindrome di Wiskott-Aldrich, deficit immunitario che colpisce quasi esclusivamente bambini maschi; la leucodistrofia metacromatica, malattia genetica che provoca la perdita progressiva delle capacità intellettive e motorie; la beta talassemia, una delle malattie del sangue più diffuse; la mucopolisaccaridosi 1 (MPS1), una patologia che nella forma più grave provoca ritardo psicomotorio e deformità dello scheletro; la leucodistrofia globoide, condizione che porta alla morte entro i primi anni di vita; la granulomatosi cronica, patologia immunitaria che espone i bambini a tutte le infezioni.

Per alcune di queste malattie si sono già ottenuti dei risultati positivi sui pazienti, per altre le sperimentazioni cliniche inizieranno il prossimo anno. Insomma, i laboratori del Tiget stanno sfornando soluzioni terapeutiche per malattie che fino a pochi anni fa non avevano neanche un nome, figuriamoci una cura. Uno sforzo ventennale tutto italiano: italiani sono i soldi, le idee, i ricercatori e le strutture dove hanno lavorato. «Sarebbe veramente molto bello se domani l’Italia potesse diventare il centro di riferimento mondiale a livello medico, scientifico e industriale di questo settore», dice ancora Finocchiaro.

Il metodo che ha permesso a Salsabil di guarire è infatti stato messo a punto negli anni Novanta da Claudio Bordignon, Maria Grazia Roncarolo e Alessandro Aiuti sempre nei laboratori milanesi del Tiget. E consiste nel prelevare dal midollo osseo del malato le cellule staminali del sangue, chiamate ematopoietiche, e correggerle in laboratorio. «Il lavoro di correzione lo fa un virus, una specie di navetta biologica che trasporta nelle cellule il gene corretto. Una volta preparato farmacologicamente l’organismo del paziente a ricevere questo nuovo materiale biologico si procede con l’iniezione», spiega Aiuti. È grazie a questa correzione fatta dai ricercatori che i bambini bolla possono tornare a baciare i propri genitori o giocare con gli amici, senza preoccuparsi di ammalarsi continuamente. Non avendo un donatore compatibile, condizione in cui è la maggior parte dei piccoli affetti da Ada-Scid, per questi pazienti la terapia genica è l’unica salvezza.

Grazie a un’intuizione di Luigi Naldini, direttore del Tiget, e al lavoro dell’équipe di Alessandra Biffi, poi, è stato possibile mettere a punto un’evoluzione della tecnica, usando per traghettare il gene corretto nelle cellule un lentivirus, derivato originariamente dall’Hiv, molto più efficace nell’entrare nelle cellule, anche in quelle che non si duplicano, come quelle nervose. È questa la tecnica che porterà presumibilmente in un paio d’anni all’approvazione di altre due terapie geniche, per la leucodistrofia metacromatica e la sindrome di Wiskott-Aldrich.

Dopo Salsabil, che ha aperto la strada a tutti gli altri bambini trattati per l’Ada-Scid, è toccato quindi a Mohammad di fare da apripista per questa nuova sperimentazione. La sua malattia, la leucodistrofia metacromatica, non dà scampo: nel giro di un paio d’anni i bambini riescono a malapena a muovere gli occhi, non sentono, non deglutiscono, fino a morire. Lo sanno bene i suoi genitori che hanno perso una figlia e ne hanno un secondo in condizioni terminali. Ma il destino di Mohammad è diverso: nel 2010 ha ricevuto le cellule modificate con il metodo di Naldini e ad oggi non ha ancora sviluppato alcun sintomo. Dopo di lui i ricercatori Telethon hanno trattato altri due bambini con la stessa malattia e tre con la sindrome di Wiskott-Aldrich, una condizione che si manifesta con infezioni ricorrenti, eczema, disturbi della coagulazione, e maggiore suscettibilità al cancro. I risultati straordinari ottenuti, presentati su “Science” a luglio 2013, hanno convinto Gsk a opzionare anche questa terapia.

Ma la Fondazione voluta da Susanna Agnelli ha altre frecce pronte a essere scoccate: sono già in sperimentazione sui pazienti soluzioni per alcune patologie del sistema nervoso centrale, malattie dei muscoli, che colpiscono gli occhi. Né GlaxoSmithKline è l’unica azienda farmaceutica con cui la charity ha chiuso degli accordi. Nel 2012 Telethon ha iniziato una collaborazione con Shire: a fronte di un sostegno di 17 milioni di euro per la ricerca dell’Istituto Telethon di genetica e medicina di Napoli sulle malattie neurodegenerative e da accumulo lisosomiale, l’azienda potrà rilevare i risultati più interessanti per sviluppare terapie efficaci da rendere disponibili ai pazienti in tutto il mondo. «Grazie al nostro sistema di scouting dei progetti migliori siamo riusciti in questi anni a ottenere dei risultati importanti e abbiamo la responsabilità di renderli disponibili. Sono risultati che partono dallo studio delle malattie rare ma che potrebbero rivelarsi adatti per patologie molto più diffuse, come dimostra il fatto che presto partiremo con le sperimentazioni della terapia genica nella beta talassemia. Ma in futuro potremmo pensare anche al cancro o alle malattie infettive», conclude Pasinelli. Perché la storia di Sansabil, Mohammad e tutti gli altri sia, domani, la storia di molti malati.