Laboratori a Hong Kong, Capoverde e Messico. E i diritti sulla cura riservati a due società svizzere. Ecco il presidente della Fondazione Stamina ha curato i suoi affari.  Mentre il dramma dei malati finisce in piazza

Un collegamento video da Capo Verde, a 500 chilometri dalle coste del Senegal. A inizio dicembre Davide Vannoni ha scelto questo modo per annunciare l’ultimo progetto della Fondazione Stamina. Se il suo metodo non troverà il sostegno che merita, ha d ichiarato durante un convegno, lui cercherà all’estero «quelle soluzioni che l’Italia sta abbandonando». E una possibilità è proprio il piccolo arcipelago sperduto nell’Oceano Atlantico: «La proposta è venuta da alcuni pazienti e ci trova favorevoli. Vogliamo creare un laboratorio gestito da una cooperativa di pazienti e senza fini di lucro, all’interno del quale Stamina opererà gratis. Solo se gli stessi pazienti saranno i veri proprietari potremo essere certi che nessuno ci lucrerà», ha detto .Quello delle cure gratuite è un mantra che Vannoni, 46 anni, ripete spesso. Il motivo è comprensibile: l’uomo che ha spaccato l’Italia con i suoi trattamenti per malattie incurabili, proponendosi come l’ultima chance per migliaia di famiglie disperate, vuole allontanare ogni sospetto di alimentare un mercato del dolore. Di qui il ritornello sul fatto che la sua Fondazione opera senza scopo di lucro, ripetuto con forza in tivù, sui blog, su Facebook, dove Vannoni segue ogni passo della sua battaglia: lo scontro quotidiano con la comunità scientifica, che lo accusa di non aver mai voluto rivelare i suoi protocolli di cura, le controaccuse ai medici “di sistema” per i finanziamenti istituzionali di cui godono, la protesta dei malati che riversano in piazza la loro sofferenza, arrivando a prelevarsi il sangue in strada per chiedere al ministro Beatrice Lorenzin di dare il via libera alle cure.


L’immagine che Vannoni vuol dare di sé, tuttavia, non riflette del tutto il business che si sta sviluppando attorno a Stamina. In maniera silenziosa, infatti, ormai da tempo sta nascendo un network di laboratori e di società commerciali che vedono il sociologo torinese coinvolto in maniera più o meno diretta. I nodi più importanti sono in Svizzera, dove sono sorte ben due aziende, una delle quali – recitano i documenti ufficiali - «è la detentrice dei diritti esclusivi mondiali del know how di Vannoni». Ma le ramificazioni raggiungono anche San Marino, dove già da quattro anni esiste una società “in sonno”, collegata al presidente di Stamina, oltre che Città del Messico e Hong Kong, città dove Vannoni ha fatto elaborare a un’impresa specializzata i progetti per aprire laboratori destinati ai trattamenti con cellule staminali. Iniziative che, a prescindere dalle intenzioni e dai meccanismi di pagamento per i malati che Stamina saprà trovare, rischieranno di far partire dei costosi pellegrinaggi della speranza, generando un giro d’affari milionario. Soprattutto se, in Italia, il discusso metodo verrà bloccato.

La prima traccia del Vannoni d’oltreconfine era emersa più di un anno fa, quando i carabinieri del Nas si erano recati nella sua casa torinese per una perquisizione. Avevano notato che guidava una Porsche con targa di Lugano, e si erano domandati cosa c’entrasse Vannoni con la Svizzera. Per trovare una risposta, bisogna andare a vedere il bilancio del primo anno di vita di un’impresa denominata Medestea Stemcells, con sede a Torino. Il suo maggiore azionista si chiama Gianfranco Merizzi, un industriale farmaceutico che nel 2012 è diventato il principale finanziatore e partner industriale di Vannoni.

È nel bilancio della Medestea che, per la prima volta, vengono messe nero su bianco le mosse internazionali della strategia di Stamina. Il gruppo di Merizzi, infatti, rivela di aver provveduto ad avviare a Lugano due società quasi gemelle. Della prima, battezzata Biogenesis Research, scrive che le sono stati conferiti «i diritti mondiali esclusivi» sul metodo Vannoni. Della seconda, che si chiama invece Biogenesis Tech, fornisce qualche elemento in più. Ad esempio che Medestea ne ha acquistato una partecipazione da Vannoni per 440.302 euro; e che la società svizzera, forte di un capitale di 100 mila franchi, ha come scopo «la diffusione mondiale della terapia con staminali, attraverso la costituzione di cell factories in joint venture in vari Paesi del mondo». Dettaglio interessante: nel consiglio di amministrazione delle due società ticinesi Merizzi è affiancato da persone che fanno parte dei movimenti che animano la battaglia sul metodo Vannoni.

Il primo è un manager piemontese che figura tra gli amministratori della pagina Facebook del Movimento Pro Stamina; il secondo è il papà di due fratelli affetti da una grave malattia neurodegenerativa che, nei mesi passati, hanno dovuto rivolgersi ai magistrati per ottenere di essere curati con il metodo Vannoni, finendo più volte nelle cronache dei quotidiani. Quale sia il loro ruolo all’interno delle società svizzere dove sono custoditi i diritti di Stamina, è però difficile dirlo.Interpellato da “l’Espresso”, Merizzi risponde di non voler fornire particolari sugli accordi che il suo gruppo sta stringendo all’estero: «Ogni volta che l’abbiamo fatto, si è innescato un meccanismo di denigrazione che ha rischiato di danneggiarci», spiega. Sostiene che dal mondo scientifico sono partite mail e telefonate alle controparti internazionali che erano state individuate, nel tentativo di bloccare l’espansione di Stamina. «Le posso solo dire che stiamo lavorando per essere pronti, un domani, con le linee di produzione delle cellule. E che, finora, non abbiamo incassato un euro ma, al contrario, investito risorse ingenti per portare avanti le terapie all’ospedale di Brescia e per sviluppare le altre attività», sostiene.

Merizzi non ha mai negato che dietro l’accordo con Vannoni ci sia il proposito di fare business. E, in un’intervista al sito “About pharma”, si era spinto a quantificare in una gamma compresa fra 5 e 7 mila euro il prezzo a cui la cura potrebbe arrivare sul mercato. Un valore che, per Medestea e per Vannoni, si tradurrerebbe in un giro d’affari da decine di milioni; forse centinaia, se riusciranno a piazzare il metodo all’estero. Qui, però, Merizzi ripete la sua linea di difesa: «A chi ci accusa di pensare ai quattrini, voglio ricordare che le cure palliative somministrate attualmente a un malato di atrofia muscolare spinale costano agli ospedali dai 50 ai 250 mila euro. Ditemi voi, allora, chi fa il vero affare».

Anche se il proprietario di Medestea mantiene il riserbo su dove andrà Stamina, nel bilancio c’è scritto che «contatti avanzati»per aprire un primo centro sono in corso in Svizzera, a soli 50 chilometri da Milano: una prossimità che rende concreta la prospettiva di una processione di malati in viaggio dall’Italia. Più distanti, invece, le altre mete: Città del Messico e Hong Kong, per le quali Vannoni già alcuni mesi fa ha affidato a un’azienda specializzata di Milano, la A. Morando Sas, il progetto per realizzare alcune “camere bianche”, come vengono chiamate le stanze ad atmosfera controllata dove sono prodotte le cellule staminali. Nella metropoli asiatica, in particolare, il luogo scelto per la “cell factory” è il Science Park dove ha sede anche la Lee’s Pharmaceutical, una casa farmaceutica cinese con cui Medestea vanta già rapporti di collaborazione.

Al di là di queste iniziative, c’è poi un’altra ramificazione di Vannoni che raggiunge San Marino. Così come con la Porsche svizzera (nel frattempo reimmatricolata in Italia), anche in questo caso la traccia arriva da un’automobile, o meglio da un van modello Mercedes Vaneo, su cui gli esponenti della Fondazione Stamina si sono fatti intervistare in tivù. La targa del furgone, secondo quanto “l’Espresso” ha potuto appurare, è intestata a una piccola srl registrata nella repubblica del Titano, chiamata Biolab.Tre anni fa Vannoni era stato sospettato di aver effettuato dei trapianti di cellule proprio a San Marino, e nel mirino dei magistrati erano già finite altre due società locali, che in seguito avevano cessato o sospeso l’attività. Nelle indagini della procura e negli accertamenti chiesti all’epoca dai parlamentari sanmarinesi, il nome della Biolab, titolare di una licenza per un laboratorio finalizzato al prelievo e al trattamento di cellule staminali adulte, non era però mai emerso e la società ha continuato a operare, senza mai veniere allo scoperto. L’amministratore, Alberto Francini, un avvocato molto noto nel piccolo Stato, spiega a “l’Espresso” che il laboratorio «è in corso di attivazione. Non farei però bene il mio mestiere se le dicessi chi sono i proprietari delle quote della società». E così, i misteri del guru con la passione per le automobili offshore, non svaniscono del tutto.