Mister Pnrr è il più eccellente interprete dell’ambivalenza della premier, bravissimo in Parlamento a negare l’esistenza di tagli al Piano, rilevati pure dal servizio studi della Camera, e a portare a casa il placet della commissione Ue. Il segreto? L’Europa ha bisogno che la premier italiana sia autorevole e credibile, almeno quanto ne ha bisogno lei stessa

Non bisogna farsi ingannare dai suoi modi pacati o dall’aria placida in cui si avvolge: è Raffaele Fitto il miglior alleato di Giorgia Meloni, uno di quelli che la porterà più lontano, essendo peraltro uno dei pochissimi di cui lei si fidi, nonostante la provenienza non missina e anzi sospettosamente azzurro-democristiana.

Di ciò si è avuta conferma ieri, nella doppietta Camera-Senato nella quale il ministro degli Affari europei e del Sud, alias “Mister Piano”, di fatto il superministro del Pnrr dacché ha sotto di sé una struttura di missione di 84 persone, ha illustrato il successo politico di essersi fatto vidimare dall’Europa la rimodulazione del piano – un successo che dipende in larga parte dalle necessità di leader europei come Ursula von der Leyen di costruire alleanze per la prossima legislatura - annegando l’intera pratica in quello che sarà un insuccesso burocratico, tuttavia di là da venire (e tanto basta, a lui, a lei e a loro).

 

Bravissimo Fitto nell’interpretare in salsa economica quel doppio binario che è una delle hit del governo di Giorgia Meloni: e tante volte il ministro ha ripetuto che non ci sono tagli nel piano delle 144 modifiche, «non c’è nessun definanziamento» (addirittura 900 milioni aggiunti per gli asili nido, ha asserito), e altrettante volte il servizio studi della Camera, e anche quello del Senato, ha chiarito che al contrario Fitto non ha indicato «quali saranno gli strumenti e le modalità» di copertura alternativa per quei 16 miliardi di opere stralciate, di cui 13 di pertinenza dei comuni. Nel documento presentato sono citate alcune possibili fonti (i fondi di coesione, quelli europei, quelli nazionali) ma nessuna è indicata come una copertura finanziaria certa.

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Il che equivale a smentire sulla carta ciò che Fitto dice a parole. I tagli ci saranno, peseranno ad esempio sulla scuola, sulla sanità, sul contenimento del rischio idrogeologico, sulle periferie delle città. E a portarne il fardello di fronte ai cittadini saranno soprattutto gli enti locali. Quindi Pd e Lega.

 

Lo sa il Pd, che ieri in Aula con Elly Schlein ha dato battaglia definendo quello del governo un mero «gioco delle tre carte». Ma lo sa anche la Lega: l’altro grande partito che oltre ai dem governa città e regioni, è animato in queste ore dagli assalti dei sindaci e dei presidenti di Regione, e cerca di gestire l’ambiguità di partecipare al livello di governo al definanziamento che contemporaneamente subisce al livello di enti locali.

Per questo in Parlamento la Lega si è mostrata durante il dibattito assai fredda, a tratti anche scettica, nei confronti della bontà della rimodulazione.

Esemplare in questo senso l’intervento in Aula del senatore Gian Marco Centinaio: ha cominciato ringraziando la protezione civile per l’aiuto durante le emergenze, ha continuato predicando investimenti sul fronte del rischio idrogeologico, ha chiuso auspicando investimenti sulla scuola. Come a dire che il Carroccio allinea i birilli per un ipotetico futuro strike contro Giorgia Meloni, la quale dal canto suo sta facendo di tutto per aumentare il suo consenso a scapito della Lega.

 

Saranno i prossimi mesi a dire se a prevalere sarà la realtà dei tagli, o come pare la realpolitik di un’Europa che ha bisogno di una Giorgia Meloni autorevole e credibile almeno quanto ne ha bisogno la premier italiana stessa. In questo senso, Ursula von der Leyen è un’alleata assai migliore di Matteo Salvini. Assieme a Fitto, naturalmente.