Pubblico e privato garantiscono cure e assistenza. Le contrapposizioni ideologiche sono sterili se controlli efficaci espellono i furbi e lasciano spazio a chi ha sviluppato ricerca e formazione

L’articolo 32 della Costituzione recita che «la Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti». A questo diritto dovrebbe pensare il Sistema sanitario nazionale basato su universalità, uguaglianza ed equità in funzione dei Livelli essenziali di assistenza.

 

Secondo i recenti dati del Nadef – la nota di aggiornamento al Def – del dicembre 2022 le risorse previste per la sanità, rispetto a quanto successo nel 2020 e 2021 in piena pandemia, tornano ad essere decrescenti in valore percentuale sul Pil. La spesa sanitaria tornerà a segnare delle riduzioni nel biennio 2023-2024, mentre nel 2025 si prevede la sua stabilizzazione, in ragione dei minori oneri connessi alla gestione dell’emergenza epidemiologica. Quanto alla spesa corrente, rispetto alle stime del Def si registra un lieve incremento di quella sanitaria che crescerà complessivamente di 736 milioni di euro nel triennio 2023-2025. Una crescita esigua che non sarà sufficiente neanche a compensare l’inflazione e i rincari per l’energia. Il settore sta lentamente andando verso un nuovo ridimensionamento che renderà ancora più critica la gestione di alcune emergenze, a partire da quella del personale sanitario. Negli ultimi 10 anni la spesa era cresciuta dell’1 per cento medio annuo contro il 3,8 per cento degli altri Paesi dell’Europa Occidentale. L’Ocse conferma un dato molto inferiore a quello della maggior parte dei Paesi occidentali con una spesa media pro capite che ci pone al 20° posto in classifica.

 

Il sistema è strutturato su operatori pubblici e privati, a loro volta distinti tra privati accreditati e privati in senso proprio. Questo scenario è frutto delle scelte dei governi che si sono succeduti nella tendenziale continuità delle politiche sanitarie. È indiscutibile che la parte privata sia molto forte. Ed è fortissima in particolare nel settore socio-sanitario, nel quale da diversi anni copre il 75 per cento dell’offerta e dovrebbe avere un ruolo importante per favorire la deospedalizzazione. Tuttavia, nell’ultimo lustro abbiamo assistito ad una errata lettura ideologica del fenomeno e a polemiche sterili dirette a fare di tutta l’erba un fascio. Si tratta invece di attori assai eterogenei: da un lato, ci sono privati con elevatissima dotazione professionale e tecnologica e, dall’altro, c’è chi vive solo alle spalle del pubblico, a volte con modesta operosità ma con numeri importanti, specie a livello socio-sanitario. Esiste poi, purtroppo, chi ci sguazza anche grazie alla debolezza dei controlli spesso compiacenti e alla sciagurata generosità di opinabili sentenze. I primi sono una grande ed insostituibile opportunità (forse l’unica), gli ultimi una sciagura vergognosa per il sistema.

 

È necessario, quindi, abbandonare posizioni ideologiche e fare scelte nette e rigorose. È semplice espellere dal sistema i tanti furbetti, molto più semplice di quanto avviene con gli evasori, si tratta solo di volerlo. L’imposizione di tetti di spesa e capacità operative massime, uguali per le due categorie, senza un’adeguata valorizzazione dell’attività esercitata, ad esempio, nella rete dell’emergenza o in quella oncologica, mortifica la parte nobile del settore, impedendole i necessari investimenti e creando una sperequazione concorrenziale tra i veri industriali e le sanguisughe.

 

La pandemia ha dimostrato che la relazione pubblico-privato può essere strategica e che la tempestività nel cambiamento è un valore aggiunto. La parte buona del privato ha dato prova di potersi porre non solo come erogatore di servizi ma come partner del pubblico nella sfida dell’innovazione. Banchi di prova sono la ricerca e la formazione ma occorre un netto cambio di marcia, anche autorizzando nuove università a privati che abbiano già policlinici di proprietà all’avanguardia. Strutture che, proprio per la loro organizzazione, possano subito garantire una formazione altamente qualificata di personale sanitario, oggi così carente da imporre l’arruolamento di medici e infermieri cubani, indiani, tunisini, albanesi, rumeni, ecc. Il Coronavirus è stato poi uno stress test sulla urgenza e la necessità di un uso più diffuso di intelligenza artificiale, telemedicina e teleassistenza home care che hanno un ruolo centrale nella missione 6 del Pnrr. Il cocktail esplosivo italiano fatto dal numero degli anziani e dall’aumento vertiginoso delle malattie croniche impone il massiccio ricorso alle nuove tecnologie. Nel 2040 ci saranno oltre 19 milioni di anziani e 28 milioni di cronici, con incrementi rispettivamente del 39 per cento e del 12 per cento.

 

Il Covid ha consentito di cogliere tutta l’inadeguatezza dello sforzo tecnologico finora compiuto. Il Fascicolo sanitario elettronico va ripensato e dovrà essere soprattutto interoperabile con le App, i device e le interfacce consumer utilizzate ormai dalle reti sociali elettroniche di comunicazione dei cittadini. Lo stesso vale per le cartelle cliniche elettroniche dei medici di famiglia, degli specialisti ambulatoriali e ospedalieri che dovranno essere aperte alla raccolta di dati sulla continuità della cura auto-forniti dai pazienti una volta dimessi: i cosiddetti Proms (Patient-reported outcome measures).

 

Si tratta di attività che vanno immediatamente implementate nella cornice del Ssn in un sistema di accreditamento adeguato al servizio erogato che dia garanzia ai pazienti, agli operatori e al soggetto pagatore. Ciò anche al fine di garantire equità territoriale, sostenibilità dei costi, progettazione degli investimenti. Questa qualificazione della spesa sanitaria è in grado di eliminare anche le criticità derivanti dalla disastrosa destrutturazione del sistema territoriale, se accompagnata alla formazione non solo dei medici, degli infermieri, degli operatori e degli informatici ma anche degli utenti bisognosi spesso di una educazione digitale di base, specie quando sono anziani.