Tra eletti ed elettori che versano solo briciole, le entrate ammontano a tre milioni di euro. A fronte di cento di debiti. Di cui novanta nei confronti del fondatore scomparso. Se la formazione politica del Cavaliere rimarrà in vita, ora dipenderà dalle decisioni degli eredi

Pier Silvio Berlusconi ha spedito il suo ultimo bonifico a Forza Italia il 14 marzo scorso. Centomila euro. Centomila lui, e centomila ciascuno anche Marina, Barbara, Eleonora e Luigi. E centomila pure zio Paolo. Per il secondo anno consecutivo l’intera famiglia risponde così al grido di dolore del senatore azzurro Alfredo Messina. Da ben oltre un trentennio è fra gli uomini di fiducia del Cavaliere: che lo ingaggiò, si narra, dietro suggerimento di un certo Romano Prodi, allora presidente dell’Iri di cui Messina era dirigente. E da quasi sette, archiviata la disastrosa parentesi di Mariarosaria Rossi, è tesoriere del partito di Silvio Berlusconi, con la missione impossibile di tenere in piedi una baracca che fa acqua da tutte le parti.

Seicentomila euro per un partito che ha avuto a lungo in mano l’Italia sono briciole. Ma per avere un’idea della situazione che Messina deve affrontare, l’obolo dei cinque figli di Berlusconi e di suo fratello Paolo equivale alla somma che versano al partito ogni anno tutti i parlamentari di Forza Italia. Anche se sarebbe meglio dire: «versavano». Perché adesso, dopo il taglio dei seggi di Camera e Senato, gli onorevoli forzisti sono un terzo di quelli che c’erano prima. E se il piatto già piangeva quando gli onorevoli contribuenti sbarcati alle Camere nel 2018 erano 157, figuriamoci ora che sono appena 63.

Né si può contare sugli elettori. Il gettito del 2 per mille dell’Irpef, ovvero la forma di finanziamento pubblico che ha sostituito integralmente da sei anni i famigerati rimborsi delle spese elettorali, non arriva alla somma sborsata dalla famiglia. Nel 2021 si è fermata a 563.518 euro. Hanno destinato il loro 2 per mille a Forza Italia 32.125 persone: in media, 17 euro e 54 centesimi procapite. Sono il 2,36 per cento del milione e 360 mila contribuenti che hanno deciso di dare i propri soldi a un partito. E sono perfino meno dei 54.844 finanziatori di Rifondazione Comunista. Per non parlare dei 162 mila salviniani, dei 209 mila meloniani e dei 464 mila democratici.

A leggere la relazione di Messina all’ultimo bilancio pubblicato, quello del 2021, e a guardare i numeri che ci sono dentro, non si può che raggiungere una conclusione: se si trattasse di un’azienda, i libri di Forza Italia sarebbero in tribunale da un bel pezzo. Nessuna entità economica può sopravvivere con 2,7 milioni di “fatturato” (a tanto sono ammontate le entrate annuali) e 100 di debiti. E se nel 2021 il buco di bilancio è risultato relativamente contenuto (340.490 euro) per una serie di circostanze, il conto da quando nel 2013 Forza Italia è rinata appare semplicemente spaventoso.

In nove anni le perdite di conto economico hanno sfiorato 33 milioni, circa 31 dei quali accumulati nel triennio 2013-2015 dell’amministratrice Mariarosaria Rossi. Anche se mettere la croce tutta sulle sue spalle sarebbe ingeneroso. Lo stesso Messina si lamenta del fatto che al disavanzo contribuisce la «discontinuità dei versamenti provenienti dai parlamentari e dai consiglieri regionali». Nel 2021 sono aumentati del 63 per cento, superando appena i 600 mila euro. Circa 4.000 euro in media ciascuno. E considerando invece che al partito ogni onorevole potrebbe (e dovrebbe) dare 900 euro al mese, seguendo l’esempio dell’attuale quasi vedova del Cavaliere Marta Fascina, manca almeno un milioncino.

Senza contare l’emorragia dei parlamentari che cambiano casacca, sempre più numerosi. Allo scioglimento delle Camere nell’estate 2022, dei 104 deputati eletti quattro anni e mezzo prima erano rimasti fedeli a Forza Italia appena 68. Mentre dai militanti, dai singoli cittadini, e soprattutto dalle attività economiche, ormai arrivano poche briciole. Dagli iscritti al partito, 364 mila euro. Dai simpatizzanti, 164 mila. Dalle imprese, 279 mila.

Un fallimento clamoroso del principio del partito-azienda che aveva ispirato la discesa in campo di Berlusconi, trent’anni orsono. Ma la legge del contrappasso non perdona. Di quei 100 milioni di debiti, ben 92 sono nei confronti di Silvio Berlusconi. Quando nel 2013 è evaporato il Popolo delle Libertà e Forza Italia è uscita dal frigorifero, è toccato a lui farsi carico dei debiti accumulati con le banche: 90,4 milioni, diventati ora 92 grazie agli interessi. Che nessuno, però, gli potrà mai restituire.

Con i contributi elettorali destinati a sparire progressivamente per eccesso di scandalose abbuffate, in un Paese refrattario alle mezze misure come al buonsenso, tutto il gioco si è basato per anni su una fideiussione di 177 milioni firmata con le banche dal fondatore del partito. E quando i nodi sono venuti al pettine, ha dovuto pagare. Nemmeno lui sapeva quanti soldi davvero gli è costata l’avventura politica. Comunque tanti. Di sicuro, però, molti meno rispetto ai vantaggi che lo sbarco in politica ha assicurato a Berlusconi imprenditore.

Basta pensare allo spettacolare andamento dei fatturati pubblicitari di Mediaset, anche negli anni in cui il mercato era fiacco e la Rai arrancava. Fra il 2001 e il 2006, nel quinquennio d’oro dell’epoca del Cavaliere, il maggiore gruppo privato surclassò le reti pubbliche con gli inserzionisti che facevano a gomitate per conquistare gli spazi del prime time. Circa mezzo miliardo, si calcolò, fu il dividendo dell’euforia berlusconiana.

Anni indimenticabili. Anni in cui i rimborsi elettorali avevano avuto l’effetto di una droga pesante somministrata al sistema politico. Si arrivò nel 2006 all’assurdo di garantire con una leggina vergognosa, votata da tutti i principali partiti compresa Forza Italia, il pagamento delle rate annuali dei rimborsi anche nel caso di scioglimento anticipato delle Camere. Cosicché nel 2008, alla caduta del secondo governo Prodi, non sapevano più dove mettere i soldi. Dicono tutto i bilanci di quell’anno meraviglioso pubblicati sulla Gazzetta Ufficiale.

Mentre nascevano a sinistra il Partito Democratico e a destra il Popolo delle Libertà, il trucco per continuare a incassare fu quello di lasciare in vita i vecchi partiti, trasformandoli in casseforti gonfie di denaro. Forza Italia, ormai un involucro vuoto, incassò così 154,9 milioni di euro, e nel bilancio figurarono altri 134,4 milioni di crediti futuri per rimborsi elettorali. Totale: 289,3 milioni. Il tutto mentre il Popolo delle Libertà, che aveva appena fatto il pieno di voti, rivendicava nel proprio bilancio, distinto da quello del partito madre, altri crediti verso lo Stato per l’ammontare di 165,2 milioni. Totale generale: 454 milioni e mezzo.

Sembrava non dovesse finire mai. Sedi faraoniche, eserciti di dipendenti, campagne elettorali senza badare a spese. Con le aziende berlusconiane che prosperavano senza soluzione di continuità. E pure qualche banchiere si leccava i baffi. Con un discreto tornaconto. Nel 2011 il Pdl cedette l’intera annualità di 37,2 milioni di rimborsi elettorali presso Banca Infrastrutture Innovazione e Sviluppo del gruppo Intesa. Credito ceduto: 37,2 milioni. Incasso reale: 31,5. Differenza: 5.7.

A un certo punto, invece, è finita eccome. E con una velocità capace di oltrepassare ogni immaginazione. Se nel 2008 il bilancio di Forza Italia esibiva un avanzo patrimoniale di 6 milioni, nel 2011 il disavanzo cumulato aveva già raggiunto 42 milioni, e ora siamo oltre i 100. In quindici anni, calcolando anche la valanga di rimborsi elettorali, il partito-azienda di Berlusconi ha bruciato almeno mezzo miliardo di risorse prevalentemente pubbliche. Ed è arrivato anche il momento delle scelte dolorose.

Licenziamenti collettivi, si chiamano. Che per un imprenditore di successo, il quale rivendicava in ogni occasione di «non aver mai licenziato nessuno», ha rappresentato un’onta indelebile. E dunque inconfessabile. Nel dicembre 2015 il licenziamento collettivo si abbattè su 69 persone, con strascichi vari. Anche di natura giudiziaria. Il 2 marzo 2020 il giudice del tribunale di Roma ha condannato Forza Italia a pagare 3,1 milioni, gran parte dei quali in favore di ex dipendenti che avevano fatto causa. Dieci anni fa Forza Italia e il Pdl davano lavoro a 151 persone. Oggi sono 15. Ancora per quanto, adesso dipende soltanto dagli eredi. Ma non quelli politici, di Berlusconi. Quelli veri.