Alla primogenita il ruolo di gestire il futuro di Forza Italia e delle aziende di famiglia. Scelte e mosse che avranno ripercussioni sul sistema di potere italiano

Interrotte o quantomeno sospese le giaculatorie a Silvio Berlusconi di parenti, affezionati, sottoposti, dipendenti a vario titolo, ci si chiede – e se l’è chiesto il senatore democratico Filippo Sensi – chi oggi in Italia incarni quel potere e come quel potere che fu di Silvio Berlusconi incida sul potere che resta. Per cominciare bisogna mettersi d’accordo sul tipo di potere.

 

Le valutazioni sono troppe, i giudizi eccessivi, i moralismi superflui, la certezza isolata, coriacea, lampante: il patrimonio di Silvio Berlusconi imprenditore è un derivato del secolo scorso che Silvio Berlusconi politico ha protetto dal mercato con la commistione di cui sappiamo e di cui parecchi fingono di non sapere. Il gruppo Fininvest poggia su tre pilastri di altezze differenti: la partecipazione (30 per cento) in Mediolanum accanto alla famiglia Doris; il dominio nel settore librario di Mondadori; la faticosa evoluzione di Mediaset trapiantata in Olanda col nome di MediaForEurope. Quattro o cinque miliardi di euro in capitali. La rendita di Mediolanum più profittevole con l’inflazione; Mondadori il regno dorato o il confino volontario di Marina Berlusconi; la televisione uguale a trent’anni fa che sopravvive per gli esorbitanti – se parametrati agli ascolti – introiti pubblicitari. La distorsione ottica, che ha reso grande ciò che è piccino, moderno ciò che è vecchio, centrale ciò che è periferico, proviene dai palazzi romani, le istituzioni, la politica. Forza Italia. Il riassetto – il «rimettere ordine» – parte da qui.

 

Interessi convergenti di M&M
Marina e (Giorgia) Meloni vogliono tempo. Nel Paese dei tempi dilatati, flessibili e mai perentori, è una pacchia. Marina ne vuole per acquietare fratelli e sorelle in preda ai testamenti e per tutelare le proprietà, Meloni per neutralizzare il pericolo leghista. Entrambe vogliono governare a lungo. Marina con Pier Silvio. Meloni con sé stessa. Forza Italia è assai duttile, può svolgere più funzioni: presidio lobbistico per Fininvest; interposizione parlamentare a uso di Fratelli d’Italia contro Matteo Salvini; comoda rana per trasportare lo scorpione Fdi nei pressi del Partito popolare europeo e comandare pure a Bruxelles. Per quest’ultima operazione lo specialista reclutato da Meloni, che ne va fiero, è il ministro Antonio Tajani. S’è detto più volte che Forza Italia sia un partito di plastica, dunque non è facilmente smaltibile, non è biodegradabile. Può durare fino alle prossime elezioni europee. Un anno. Per il dopo, interrogare lo scorpione.

 

Affari di secondo matrimonio
Il ruolo di Marina in Mondadori/Fininvest e di Pier Silvio in MediaForEurope/Mediaset è un dato di fatto da sempre. Non è un argomento. Come la guida spirituale di Fedele Confalonieri. L’amico «Fidel» voleva un bene autentico a Silvio e di Silvio e dei suoi eredi rimane il custode. Il testamento libera, però, centinaia di milioni di euro in ville e in conti che i figli di Veronica Lario possono investire. In un momento di liquidità ridotta, la liquidità indotta è una bella dote.

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Barbara, Eleonora e soprattutto Luigi, che l’ha già dimostrato, hanno il denaro per rianimare la noiosa finanza italiana o per lanciare nuovi prodotti e nuove aziende se non preferiscono godersi soltanto i dividendi di giugno. Adesso Fininvest è convintamente distante dai salotti. Ha una vista su Mediobanca attraverso Mediolanum che ne possiede il 3,4 per cento e però due anni fa ne è uscita con la cessione del 2. Citare la stagione di Enrico Cuccia per parlare di Mediobanca è parlare a vanvera con l’impostazione che l’amministratore delegato Alberto Nagel ha assunto da tre lustri. Però Mediobanca è lo snodo di molte dinastie e di molte vicende che da Fininvest, apprende L’Espresso, si osservano con la giusta attenzione.

 

Piazzetta affollata
Il costruttore romano Francesco Gaetano Caltagirone s’è spinto al 9,9 per cento di Mediobanca, è il secondo azionista alle spalle di Delfin (19,8) degli eredi di Leonardo Del Vecchio (Essilor Luxottica) e il suo orizzonte rimane Assicurazioni Generali. Nella pancia del Leone, in un groviglio a suo modo armonico, si ritrovano – per gradi di rilevanza – Mediobanca, Caltagirone, Del Vecchio, Benetton. Un anno fa il francese con cittadinanza italiana Philippe Donnet ha ottenuto il terzo mandato. La serie Generali e Mediobanca è ancora lunga e chissà quanti appassionati potrà coinvolgere in futuro. Gli equilibri cambiano con estenuante lentezza, ma cambiano, eccome se cambiano.

 

Con la proverbiale cautela, Mediaset senza Silvio si prepara a rinnovare palinsesti, protagonisti, obiettivi, più aderenti al piano europeo e, all’occorrenza, più efficaci per la politica. Questo riguarda i concorrenti pubblici e privati. Addio anni ’90. Mondadori e Mediolanum senza Silvio, al contrario, non ne risentono. Però Fininvest è un gruppo di una dimensione tale, non grossa, che crea fermento e attesa tra i nanetti e i giganti (niente ballerine) dell’economia italiana.

 

Chi si somiglia, si piglia?
Quasi otto anni fa, in una battaglia epica con l’apporto decisivo di Banca Intesa, Urbano Cairo conquistò Rcs Mediagroup e in particolare il Corriere della Sera beffando la cordata organizzata dal finanziere Andrea Bonomi con Pirelli, UnipolSai, Mediobanca, Della Valle. Cairo è reputato un «erede indiretto» dei lasciti di Berlusconi. Per le sue origini in zona Cologno Monzese, per la traiettoria che ne è seguita col calcio, le tivù, i giornali, ma difetta in un punto: la politica. Al momento Cairo beneficia di questa vulgata, che ha una sua logica, che di sicuro lo lusinga, senza muovere nulla e smentendo tutto. Al momento. Il 2016 è un ricordo incorniciato.

 

Le relazioni tra Intesa e Cairo, per così dire, non sono più eccellenti. Quella tra Cairo e l’avvocato Sergio Erede, che ha disinnescato il contenzioso legale col fondo Blackstone per la sede di via Solferino ribaltando i pronostici nefasti, è invece strettissima. Mediobanca (9,9%) e Della Valle (7,6%) sono “quotisti” silenti di Rcs Mediagroup. E Mediobanca è uno dei consulenti di Tim per la rete unica telefonica. Un progetto del governo italiano che i francesi di Vivendi, primi azionisti di Tim e secondi azionisti di Mediaset (per il tramite di Simon fiduciaria), respingono da mesi. Nonostante la tregua firmata due anni fa, la famiglia Berlusconi detesta Vivendi perché sfiorò la scalata ostile in una fase di debolezza politica e fisica di Silvio (s’è scoperto poi che Mediobanca fu coinvolta dai francesi nelle trattative di pace), ma pensare che le questioni Mediaset e Tim siano monadi, separate, indipendenti, è smaccatamente sciocco.

 

Viavai in cima
Il gioco del potere intriga. Va giocato. Gli amministratori delegati Claudio Descalzi (Eni) e Carlo Messina (Intesa) ne hanno in abbondanza, di potere, e di influenza. Il trauma energetico causato dalla guerra in Ucraina non ha neanche permesso una discussione nel governo sul quarto mandato di Descalzi. Era scontato. Non se ne può escludere il quinto. Intesa fa la «banca di sistema», copre ogni angolo. Poi vengono la competizione con Unicredit, la vendita statale di banca Mps, il terzo polo, le ambizioni di Bpm, di Bper/Unipol. Desideri e tormenti di luoghi distanti da Fininvest e dai Berlusconi, ma un occhio, per curiosità, ci va buttato. Gianni Letta dispone di tanti occhi, tante braccia e probabilmente di tanti sosia perché continua a presenziare ovunque nella Capitale e in fasce orarie sovrapponibili. Gianni Letta, che introdusse il Cavaliere a Roma, è l’autodeterminazione del potere, ne è l’essenza, il mezzo, il fine. Per Marina Berlusconi è irrinunciabile. A Palazzo Chigi – anche se questa analisi non verte su cariche politiche – per la prima volta si è affacciato qualcuno che davvero rievoca Gianni Letta: il sottosegretario Alfredo Mantovano. Con una postilla: Gianni Letta voleva piacere e spesso piaceva a tutti, Mantovano no.

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A proposito di Letta, il faccendiere Luigi Bisignani, assiduo frequentatore della palestra del potere, è tornato in gran forma. Legge per sé e per gli altri le cose che accadono e alcune le fa accadere (il rientro di Paolo Scaroni con la presidenza di Enel è merito di Silvio Berlusconi, di Gianni Letta o di Luigi Bisignani?). La famiglia allargata di Berlusconi – quella che si estende agli uffici di rilievo di Mediaset – non l’ha mai amato. Bisignani ha sofferto parecchio la stagione di Mario Draghi. Il governo di Giorgia Meloni l’ha rinvigorito. I contatti (ostentati) nel governo di Giorgia Meloni l’hanno rinvigorito. Il gioco del potere intriga. Va giocato, nessun dubbio. Però quelli che si scorgono sono perlopiù quelli che c’erano già. Sempre di meno. Sempre meno forti. Sempre più deboli. I nostri cari poteri deboli. La morte di Silvio Berlusconi ha modificato il calendario. Ancora non s’è capito se ci porta avanti o indietro.