Investire nelle liste civiche, uscire dagli schemi usati fino a oggi, valorizzare i sindaci. Parla Giovanni Diamanti, lo stratega di Giacomo Possamai e Damiano Tommasi, i due primi cittadini capaci di strappare Vicenza e Verona alla destra

Consiglio numero uno: studiare. Consiglio numero due: fantasia. Capire e interpretare i territori in cui si vince, sapendo che il Pd non basta da solo, ma serve e non va sostituito. Lasciare perdere il centrosinistra classico. Mettere in rete l’esperienza delle liste civiche. Addirittura (paradosso) stimolare la nascita di nuove forze: un partito dei sindaci, più che un partito dei cattolici. Passato il turno di ballottaggi disastroso per il centrosinistra, chiediamo lumi su cosa debba fare Elly Schlein, il Pd e il centrosinistra, per risollevarsi e ritrovare il bandolo di una qualche competitività, a uno dei pochi che ne è uscito bene.

 

Giovanni Diamanti, 32 anni, analista politico, cofondatore dell’agenzia di comunicazione Quorum/youtrend, ha coordinato la campagna dell’unico vincitore del centrosinistra al secondo turno, Giacomo Possamai, neosindaco di Vicenza. Nella primavera 2022 Diamanti – figlio di Ilvo, cresciuto a pane e politica, nel 2012 in America a fare il porta a porta per Obama come Schlein, conosciuta poi nell’area civatiana dove si aggiravano entrambi - si era trovato nella stessa condizione: a Verona, strappata alla destra contro ogni pronostico, aveva guidato la campagna dell’ex calciatore e poi sindaco Damiano Tommasi. Situazioni tra loro diverse, Verona e Vicenza, ma con qualche punto in comune: «In due anni le due vittorie più simboliche al livello amministrativo si sono realizzate in posti che sono tutto tranne che roccaforti del centrosinistra, il che ci dice quanto le città raccontino storie a sé stanti, particolari, non replicabili. Di certo sono modelli civici veri: Tommasi è un puro civico, Possamai ha 33 anni ed è iscritto a un partito da quando aveva 18 anni, ma entrambi hanno fatto una campagna tenendo completamente fuori i partiti, i temi e la politica nazionale. Si è trattato di ascoltare, capire, interpretare e questo ha fatto la differenza: si è parlato alla città e della città. Alleanze larghe: a Vicenza c’era il terzo polo, la sinistra. Addirittura il vice di Francesco Rucco, l’ex sindaco della destra, è venuto a sostegno di Possamai, con una propria lista che ha preso più di Forza Italia».

 

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Si vince dove si nascondono i leader, cioè in questo caso Elly Schlein, il volto che il Pd ha scelto per rinnovarsi. Bel paradosso. «Ma il punto non è nascondere lei: un anno fa Schlein non c’era, c’era Enrico Letta, ma la scelta per Verona fu la stessa. Perché si poteva vincere solo con un campo largo basato esclusivamente sul rapporto con la città». Un modello dunque non esportabile, ma una lezione si può trarre: «Le liste civiche sono qualcosa su cui investire, e non solo strumento da usare gli ultimi due mesi di campagna elettorale. Non le puoi “nazionalizzare” ma le puoi mettere in rete: farle diventare una fucina di talenti politici da promuovere, qualcosa con cui dialogare. Possamai era sostenuto da sei liste, di cui cinque civiche: realtà che hanno fatto la differenza». Può essere un bacino attraverso il quale riportare le persone alla politica, laddove i partiti non arrivano. In questo senso, il Veneto andrebbe studiato: vota in massa per il leghista Luca Zaia, ma ha visto affermarsi realtà molto diverse. Vicenza, Verona, ma anche Padova con Sergio Giordani. Quasi «una nuova via» per il centrosinistra, arriva a dire Diamanti. Che ricorda quanto poco - a parte i casi di Rutelli e Veltroni, di Renzi e Delrio – si sia investito su questo tipo di figura che «ha sempre avuto visibilità, ma non la centralità necessaria».

 

È di nuovo il tempo di agitare il vessillo del partito dei sindaci? «È storicamente un fortino del centrosinistra, da cui ripartire quando le cose vanno male. Mi auguro che per una volta possano essere coinvolti davvero: non solo a livello di nomenclatura ma per costruire una proposta diversa, per mettere insieme forze provenienti dalla società. Io ho il mito dei partiti, sia chiaro: ma è evidente come oggi non bastino per interpretare la società. E se non la interpreti non puoi cambiarla».

 

Schlein è in grado di fare questa operazione? «Non è nata e cresciuta dentro i partiti, ha messo il naso fuori: è un bel vantaggio. Il suo compito è molto difficile: da questo voto può trarre l’occasione per cercare formule nuove. Il suo approccio mi sembra adeguato a trovarle. È l’unica strada che ha». Sembra un compito da stregoni: il campo largo a quanto pare non funziona più, Cinque Stelle e renzian-calendiani sono allergici gli uni agli altri, il Terzo polo è sull’orlo perenne della frantumazione, il partito di Giuseppe Conte ha perso consensi ed è in cerca di una nuova collocazione (oltreché di una classe dirigente). Rasentiamo il miracolo, per uscirne. «Serve fantasia, aprirsi alla società, andare oltre le formule più classiche. Serve una offerta politica nuova, anche parallela al Pd».

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Tanti voti sono stati risucchiati nel buco nero dell’astensione, ancora una volta il vero vincitore delle elezioni. «C’è un’area enorme di non voto, che va necessariamente intercettata: il Pd non basta più, ma non va sostituito. So che può sembrare controcorrente: ma in realtà il Pd il suo lo fa, in ogni elezione. Non è più il partito del 30 per cento, d’accordo: tra il 18 e il 20 per cento però c’è sempre, ha un elettorato stabile. Non basta, e quindi serve costruire qualcos’altro». Più civico, che cattolico, secondo Diamanti: «In Italia i cattolici restano tanti, ma non vedo un voto omogeneo. Mi pare non sia più un driver di voto, la religione: non lo è stato nemmeno a Verona un anno fa. E l’elezione di Schlein alla guida del Pd non ha aperto quelle praterie al centro che molti avevano ipotizzato».