Il figlio d’arte Enrico Trantino, passista della campagna elettorale, ha fiaccato i contendenti e si è fatto incoronare da Giorgia Meloni e Ignazio La Russa. Alleanze e accordi con cuffariani e autonomisti gli regalano il pienone

Governava e governerà, nonostante passi falsi, inchieste e commissariamento. Lo fa con un’unità di intenti e di forze che copre praticamente tutta la gamma di possibilità che va dal centro all’estremo, autonomisti lombardiani, calendiani del terzo polo, grillini in cerca di rivalsa e riluttanti compresi.

 

Ne era convinta Giorgia Meloni venuta a Catania a celebrare il rito della compattezza che preludeva alla marginalizzazione, riuscita, dei partner di governo romani.

 

Nella terra nera che i Fratelli sentono propria, non c’era spazio per concessioni e beau geste. E il tributo a Enrico Trantino, avvocato figlio dell’avvocato ed eterno parlamentare Enzo, va di gran lunga oltre la soglia del 40 per cento che in Sicilia regala l’elezione al primo turno. Con un tutti dentro che ha fatto arretrare la Lega di Valeria Sudano e l’assenso accomodante del governatore Renato Schifani al timone di una Forza Italia ridotta a un ruolo ancillare, la leader del Fratelli si è presa la piazza che in questa tornata era la più identitaria.

 

Con un’affluenza crollata di poco sotto al 40 per cento, la corazzata Trantino si è presa intorno a 6 voti su dieci. Lasciando briciole del resto all’avversario Maurizio Caserta, che a stento pare aver superato la doppia cifra.

 

A giochi pressoché fatti, la Dc cuffariana, che avrebbe preferito i quattro quarti di nobiltà scudocrociata di Sudano al pedigree fiammeggiante di Trantino, ha puntato sul cavallo dato per vincente. Specularmente a quanto fatto da un altro grande vecchio della politica isolana come Raffaele Lombardo. E dal girovago, oggi terzopolista, Giuseppe Castiglione.

 

Un assessore per ciascuno dei partner è la base dell’accordo. All’appello manca soltanto il forzista, quello di Marcello Caruso, fedelissimo di Schifani è poco più di un cartello appeso a una poltrona, in attesa che i big locali si mettano d’accordo e decidano chi incoronare.

 

Nella corsa, Trantino, descritto come efficiente ma non esattamente un trascinatore ha consumato le energie con un sapiente dosaggio. Allo start di una campagna elettorale lunghissima che travalica i confini di un’Etna turbolenta, su un terreno scosso da tremori anche intensi, si è risparmiato aspettando che i competitor si consumassero. Si è consumato il predecessore di cui era assessore, Salvo Pogliese, parlamentare nazionale in fuga da Palazzo degli Elefanti verso Roma, condannato in secondo grado per le spese pazze da deputato regionale all’Ars.

 

E sono tramontate sull’onda dell’inchiesta sull’incarichificio nella Sanità isolana, gestito dai ras dell’Ordine dei medici, le candidature di Pippo Arcidiacono, FdI, cardiologo dell’ospedale Garibaldi, finito agli arresti domiciliari e quella di Ruggero Razza, l’ex assessore alla Sanità doppiamente indagato per questa storia e per i dati Covid truccati, con i morti «spalmati» secondo una intercettazione destinata a connotarne l’azione politica oltre l’esito del processo.

 

Sbaragliata la concorrenza interna non c’era che convincere Matteo Salvini che la Lega dell’acchiappa-preferenze Luca Sammartino deve fermarsi a Gelso Bianco, l’area di servizio che apre le porte alla città. A quello ha provveduto Ignazio La Russa da Paternò, leader nazionale ben più ascoltato dell’ex governatore Nello Musumeci che con un posto da ministro ha avuto già il suo.

 

Tanto più che tra Trantino e Musumeci, un tempo legatissimi, il feeling, in punto di calcoli di interesse politico, si era incrinato. La seconda carica dello Stato si è preso la briga e di certo il gusto, direbbe De Andrè, sentita Meloni, di consigliare a Matteo di arretrare su Sudano mettendogli sotto al naso il nome di Trantino.

 

Nello spazio di una notte ciò che era fatto è stato disfatto. Trantino sia, ha abbozzato il leghista imbronciando Sammartino e la sua compagna Valeria Sudano. Meloni, per adesso, prende tutto. Ma alle Europee, a meno di una robusta campagna acquisti dovrà restituire tanto credito agli alleati. Tuttavia, i prossimi giorni diranno quanto il risultato catanese influirà sui cambi di casacca dei signori del voto che qui più che altrove, si spostano alla velocità del cambio climatico. Una specie di Rai al cubo.

 

Prova dolorosa ma sostanzialmente incolore, a dispetto della figura in campo, quella di Maurizio Caserta il professore universitario che ha raccolto una realtà civica che è fiaccata ma resistente in quel pezzo di Catania non rassegnata. Ed è riuscito a tenere insieme, nonostante mille insidie, il Pd di Anthony Barbagallo, i Verdi e Sinistra italiana con il giallo dei contiani che avevano da giocarsi le lusinghe del reddito di cittadinanza con la firma di Nunzia Catalfo. Non gli ha giovato l’apporto di Enzo Bianco che dopo aver incassato perfino un endorsement di Cuffaro ha dovuto candidare la figlia in cima alla lista con il suo nome sopra. Decisiva la condanna in Corte dei conti per la quota parte di responsabilità nel dissesto di un Comune in default con coda ineludibile di incandidabilità decennale.