La presidente del Consiglio ha capito che per riuscire a governare in Italia deve essere più forte nell’Unione. Così Fdi punta a svolgere il ruolo di destra moderata senza rinunciare ai nazionalisti

Qui le ovvietà non smettono di stupire. Il governo Meloni se n’è accorto in un lungo semestre. Non è che l’Europa prima era più clemente perché l’Italia di Mario Draghi di colpo era diventata più operosa. Era più clemente perché era l’Italia uguale a sempre però di Draghi. Siccome è più facile cambiare gli altri che cambiare sé stessi, la presidente Giorgia Meloni s’è data un anno di tempo per scalare pure l’Unione Europea e riuscire a comandare finalmente in Italia senza vincoli, scadenze, rimbrotti, vendette, ripicche, e la marcia affannata del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (Pnrr), e la solita melina sui migranti, e il mercato libero con le rendite dei balneari, e quei diritti civili che a destra passano dai doveri della famiglia. Utopia contro distopia, fate voi.

 

Il punto di partenza, a ogni modo, impone a Meloni e accoliti europei una mutazione ancora più profonda di quella che in Italia ha riguardato la scontata abiura del fascismo. La traccia la fornisce Edmondo Cirielli, viceministro agli Esteri, alto dirigente di Fratelli d’Italia, tra i politici più stimati e coinvolti da Meloni nel progetto affidato al ministro Raffaele Fitto: «Per le elezioni europee della primavera del prossimo anno e la conseguente nuova commissione, la strategia di Giorgia è già chiara e l’ha esplicitata nel partito. Penso sia giusto che voglia guidare i conservatori a un accordo organico con il Partito Popolare Europeo per contribuire a governare l’Unione. Così si ricalca lo schema italiano con Fdi che rappresenta una destra moderna alleata ai moderati di centro di Forza Italia». La pratica è complicata.

 

Meloni è presidente, lo è da un paio di anni, del partito Ecr, acronimo che sta per Conservatori e Riformisti Europei. La matrice fu la destra inglese euroscettica talmente euroscettica che ha poi abbandonato l’Unione. Ecr raccoglie movimenti nazionalisti, reazionari, populisti e clericali di una fascia europea di secondo livello. Niente francesi e tedeschi, per intenderci.

 

Ci sono altri principali azionisti accanto agli italiani Fdi. Ci sono i polacchi di Diritto e Giustizia, che sono stabilmente al governo con Mateusz Morawiecki e la sorveglianza obliqua di Jaroslaw Kaczynski, il fondatore-ideologo. Ci sono i cechi del Partito Civico Democratico con il presidente Petr Fiala. E ci sono gli spagnoli di Vox che il capo basco Santiago Abascal ha generato dalla costola più neofranchista dei Popolari, ma assieme ai Popolari affronta lo svezzamento al potere nei governi locali. Introdurre l’estrema destra di Vox nelle istituzioni europee è la prova più temeraria per Meloni. Più facile rinunciare a Vox. Fonti di Fdi lo escludono: «Non è nella nostra indole cacciare chi ha condiviso un percorso di crescita. Qualcuno potrebbe anche non seguirci, ma Ecr parte da basi solide con i cechi, i polacchi e gli spagnoli. Questi ultimi non saranno mai mollati da Giorgia».

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Non sarà neanche comodo educare al galateo europeo i lettoni di Alleanza Nazionale che respingono qualsiasi forma di redistribuzioni dei profughi che sbarcano sul suolo d’Europa (per esempio in Italia) oppure i Democratici Svedesi che hanno convinto un quinto degli elettori promettendo la difesa della cultura nazionale dalle derive migratori e islamiche. Perciò in Fratelli d’Italia più di una defezione non è temuta: è invocata. Ecr è tenuta assieme da una prudente dichiarazione di intenti: «Siamo uniti dai nostri valori di centro-destra. Il partito Ecr promuove la libertà individuale, la sovranità nazionale, la democrazia parlamentare, la proprietà privata, la limitazione della sfera d’intervento dello Stato, il libero scambio, i valori familiari e il decentramento dei poteri. Questi valori sono alla base della nostra politica, compresa la nostra visione di un’Unione europea riformata».

 

Il raffinato socialista Rino Formica, in occasione del ventennale della morte del suo segretario, definì Bettino Craxi un «sovranista europeo» e dunque l’opposto di un «sovranista nazionale» del tipo Meloni e Matteo Salvini di origine. In Ecr gli interessi nazionali dell’uno possono cozzare con gli interessi nazionali dell’altro e impedire il salto dal «sovranismo nazionale» al «sovranismo europeo» che è l’ambizione di Meloni. Per questo motivo Fdi non ha incrociato mai i suoi destini in Europa con i leghisti di Salvini e i francesi di Marine Le Pen. (A proposito: a Salvini non resta che seguire le indicazioni del ministro Giancarlo Giorgetti e farsi accogliere dai Popolari altrimenti rimarrà spettatore a vita in Europa). Precisano in Fdi: «Se la Lega volesse entrare nei Popolari e li accettano, noi ne saremmo lieti. Però non abbiamo mai cercato di coabitare con la Lega nello stesso gruppo. Infatti quando i polacchi volevano ospitare Orbán assieme ai leghisti e ai francesi di Le Pen, siamo stati netti: fate come vi pare, usciamo noi».

 

Fdi ha raggiunto l’età politica adulta quando ha ordinato ai suoi di seguire la linea Usa e Nato non appena i russi hanno lanciato i primi razzi sull’Ucraina e di non covare mai dubbi (e quanti ne hanno covati Lega ex Nord e Forza Italia). Meloni vuole ripetere un modello identico in Europa: «Nel medio lungo periodo, il nostro piano, non sgradito agli americani, è avere una Unione più forte in politica estera e meno ingarbugliata con etichette e burocrazie», dice Cirielli. La politica estera incolla, la politica interna scolla. E i diritti civili strappano.

 

Il parlamento ungherese ha approvato una norma, poi rispedita al mittente dalla presidente della Repubblica, per consentire ai cittadini (delatori) di denunciare attività contrarie allo «stile di vita ungherese e alla legge fondamentale» che mettono in discussione il «ruolo costituzionalmente riconosciuto del matrimonio e della famiglia». Uno scempio. I capigruppo europei dai popolari ai socialisti fino ai liberali e ai verdi hanno scritto a Ursula von Der Leyen, il capo della Commissione, per «esprimere preoccupazione», soltanto due capigruppo non hanno aderito, due italiani, il leghista Marco Zanni di Id e il meloniano Nicola Procaccini di Ecr. Tra le ragioni di Procaccini ci sarà la ragione polacca, poiché Ryszard Legutko, il suo copresidente di gruppo, scagliò un duro anatema all’Europa di sinistra che voleva sabotare i governi conservatori e lo fece perché si erano sollevate critiche ai polacchi per le politiche discriminatorie ai danni della comunità Lgbtq+: «La coalizione è sempre più radicale e cerca di applicare la sua visione di sinistra. Il Parlamento non capisce la decenza ed esclude certi gruppi attraverso un cordone sanitario neutralizzando una parte dell’opposizione creando la tirannia della maggioranza».

 

Questo è sufficiente per intuire perché in Europa il bimotore franco-tedesco, più franco con il frenetico Emmanuel Macron che tedesco col mite Olaf Scholz, sia diffidente nei confronti di Meloni e di Ecr in generale. Né aiuta la scarsa affinità tra Antonio Tajani (ministro degli Esteri) e Paolo Gentiloni (commissario all’Economia), anche se le relazioni personali non ne inficiano la collaborazione. Meloni è consapevole che il rapporto con quest’Europa, al netto delle reciproche e momentanee convenienze, è destinato a peggiorare con la possibilità di deflagrare per l’applicazione del Pnrr e la vicinanza del voto. O tutto. O niente. Fdi sente la brezza del vento a favore, sospinto da ottime risorse economiche e un certo mondo di destra che investe su di loro. Ecr ha già 4,1 milioni di euro di finanziamenti europei, la sua fondazione New Direction più di 2 milioni euro e tante aziende apportano altre centinaia di migliaia di euro. L’organizzazione di Ecr è gestita dal segretario generale Antonio Giordano, che in Italia è deputato, consigliere di amministrazione del Secolo d’Italia, vicepresidente della fondazione Alleanza Nazionale. Vale ovunque in Fdi. O tutto. O niente.