Padri che scappano, madri che si fidanzano col socio in affari, case bruciate, panorami da furbetti del quartierino. Le vicende della famiglia d'origine della premier sembrano uscite dalla penna di Age (e Scarpelli), zio della leader di Fratelli d’Italia. Nulla di penalmente rilevante, ma forse s'è sbagliato a collocare l’autobiografia nella saggistica, quando era pura narrativa

Padri che scappano in Spagna, madri che si fidanzano col loro socio in affari, sorellastre che se lo sposano, plusvalenze, quote di società, notai, percentuali, case bruciate, condanne per droga e per bancarotta fraudolenta, ristoranti alle Canarie, compravendite di conventi di suore, nuovi ipermercati, ipotesi di imprese gelataie, panorami da furbetti del quartierino.

Visti gli avvenimenti intrecciati della sua (allargata) famiglia di provenienza, svelati nei giorni scorsi dalle inchieste di Carlo Bonini e Giuliano Foschini, Andrea Ossino per “Repubblica” e Giovanni Tizian e Nello Trocchia per “Domani,” di certo in una cosa Giorgia Meloni è partita sfavorita: nella sua passione per la politica. Era l’unica ad averla, a quanto pare.

Mentre il suo romanzo familiare, per complessità e topoi, sarebbe degno della penna del fratello di sua nonna, Agenore Incrocci detto Age, il geniale sceneggiatore che inventò la commedia all’italiana insieme con Scarpelli.

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Negli intrecci, che sembrano tratti da un film a scelta dei loro cento (da I soliti ignoti a In nome del popolo italiano, passando per C’eravamo tanto amati, I mostri, il bigamo e L’armata Brancaleone) non manca in effetti nulla, tranne una cosa: la politica. A nessuno dei familiari, mezzi familiari, socie e amici stretti è venuto in mente di muovere un passo nel mondo dei partiti. Ed è magari così che si spiega l’iniziale scintilla di Giorgia Meloni, la sua passione civile nei primi anni Novanta. Trovare una dimensione solo sua, lontano dal clan familiare in effetti piuttosto ingombrante. La compagnia dell’anello, invece della compagnia del gelato.

Eppure, anche se non ha frequentato lo zio sceneggiatore, e nemmeno a quanto pare sua nonna attrice, Giorgia Meloni ha dimostrato di avere – forse nel sangue - una grande abilità narrativa. Nulla di ciò che ha raccontato in questi anni, nelle interviste e soprattutto nella sua autobiografia, è platealmente falso. Ma più si va avanti più salta fuori quanto molto sia l’arbitrio, e moltissimo il non detto, in una ricostruzione nella quale la premier – come componendo un puzzle assai soggettivo – ha invece fornito la versione di sé più funzionale al personaggio che andava costruendo, per conquistare la politica italiana.

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Una narrazione che ha funzionato: Giorgia Meloni, autoproclamatasi “svantaggiata”, è premier, guida un partito che nei sondaggi sfiora il 30 per cento, ed è essenzialmente questo il motivo che spinge a verificare la sua versione, l’interesse a raccontare cosa ci sia di vero in quel che ha detto e dice. In questo senso, la divaricazione cresce. Basta qualche piccolo esempio.

Nel suo racconto familiare Meloni mette moltissimo in luce la fuga del padre, e nello stesso tempo fa sparire non soltanto l’intera famiglia paterna – il nonno regista, la nonna attrice, zii e cugini cinematografari, tutti quanti nemmeno nominati -ma pure le altre due figlie di Franco Meloni: passavano le estati insieme da ragazzine ma non sono mai state citate, fino a due giorni fa era come non fossero mai esistite.

Altro esempio. Meloni allude moltissimo alle difficoltà della madre Anna Paratore di crescere due bambine da sole; ma fa sparire, per dire, la circostanza che l’appartamento a via della Camilluccia comprato dalla madre alla fine del 1979, quando Meloni aveva quasi tre anni – e forse finanziato dal padre, secondo una ricostruzione fornita da Repubblica che ha sentito fra l’altro la sorellastra Barbara – abbia dopo cinque anni quadruplicato il suo valore. Consentendo alla Paratore, sempre secondo la ricostruzione di Repubblica, di realizzare una plusvalenza di circa 100 milioni di lire (in un’epoca in cui lo stipendio di un insegnante si aggirava sulle 800 mila lire al mese, 11 milioni l’anno) e di poter comprare nel quartiere romano della Garbatella un altro appartamento di cinque vani, dove Giorgia è cresciuta ma che non ha descritto nella sua autobiografia. In “Io sono Giorgia”, infatti, compare la casa dei suoi nonni. Molto più cinematografica.

Una descrizione minuziosa, quella:
«I miei nonni abitavano in un palazzo in cui c’erano gli alloggi riservati ai dipendenti dei ministeri. Ricordo quanto mio nonno fosse fiero il giorno in cui terminò di pagare il mutuo, sentiva finalmente suo quel minuscolo appartamento. Un bilocale di quarantacinque metri quadri, lo stesso in cui era cresciuta mia madre. La cucina, che era anche la sala da pranzo, era il luogo in cui si volgeva tutta la vita domestica. Nessuno, in quelle quattro mura, ha mai visto un divano. C’era un tavolo: là si mangiava, si facevano i compiuti, si giocava, si guardava la tv. Mia madre ha sempre lavorato, quindi i pomeriggi dopo la scuola li passavamo in quel soggiorno polifunzionale. E poi c’era un corridoio piuttosto angusto, con un mobile-letto che aprivamo per dormire quando mia madre decideva di uscire la sera, per cercare di vivere un po’ la sua vita. Come diceva mia nonna, dormivamo «una da capo e una da piedi”. Da bambina, insomma, ho passato tanti notti in corridoio coi piedi di mia sorella spalmati sulla faccia. Quando poi siamo cresciute ho avuto in premio una brandina in cucina tutta per me. È stata una bella conquista».

Ecco Meloni racconta l’appartamento dei nonni, 45 metri quadri senza un divano, non quello più normale in cui l’ha fatta crescere sua madre, dove immaginiamo non dormisse coi piedi della sorella in faccia. Dice del resto «di soldi non ce ne erano mai abbastanza». Non dice che non c’erano: lo lascia solo intuire. Dando così forza al racconto della underdog che si è fatta da sola partendo da una posizione svantaggiata anche laddove questo svantaggio alla fine era per lo meno molto relativo.

 

Nulla di penalmente rilevante, notano adesso la premier e i giornali della destra: come se l’elemento giudiziario fosse il punto. E invece, fuori dai tribunali, il punto è cosa ci racconta tutta questa vicenda di una premier che ama moltissimo raccontarsi – è la leader che forse si è più auto raccontata della storia - e mettere in luce alcuni punti della sua biografia, ma che non ama ci si incuriosisca della sua storia, senza prenderla per oro colato.

 

Protesta Marco Gervasoni sul Giornale: «Meloni avrebbe omesso molti particolari nella sua autobiografia? Sai che illuminazione: da quando esiste, l’autobiografia è un racconto in cui l’autore seleziona e, in un certo senso, inventa la propria vita». Va a finire insomma che “Io sono Giorgia” forse è stato collocato erroneamente nella saggistica, quando era pura narrativa.