Ex staff di Laura Boldrini, a vent’anni voleva occupare la biblioteca di Palombara Sabina, a trenta organizzava mostre. Chi è il capo della comunicazione della segretaria del Pd

Ricordate il breve periodo in cui Laura Boldrini divenne simpatica? Dietro al cambio di strategia, quando la presidente della Camera si mise a denunciare gli odiatori che l’avevano trasformata nella “Grande nemica”, c’era Flavio Alivernini, 43 anni, oggi plenipotenziario della comunicazione di Elly Schlein, all’epoca ufficio stampa social-digitale della terza carica dello Stato.

 

Una sincera inclinazione alle situazioni complesse, dal 2020 portavoce di quella che era la vice di Stefano Bonaccini, per la quale mollò l’acquario romano e i privilegi del comunicatore di Palazzo per trasferirsi a Bologna nella carne viva del governo regionale, Alivernini è un pezzo non trascurabile del sistema dell’Alien-Schlein. Lei è la grande capa marziana della dirigenza dem, quella che si appresta a fare la guerra pure a Vincenzo De Luca per la questione del terzo mandato e intanto scandalosamente annuncia la composizione della segreteria dal suo profilo Instagram. Lui è il marziano della comunicazione dem (marziana è l’intera cerchia stretta della segretaria: Gaspare Righi, Igor Taruffi, Marta Bonafoni e gli altri. Tutti con cinque occhi e le antenne, a guardarli con gli occhiali dell’ortodossia), Alivernini dicevamo è l’uomo che si trova ora a gestire una macchina che ha conosciuto sì, ma da fuori - fra le altre cose un ufficio comunicazione di 12 persone e un sistema social quasi inesistente visto che ciascun segretario, almeno da Renzi in poi, si è portato dietro il proprio.

 

Ecco dunque un altro di sinistra, ma extra Pd: cresciuto nelle campagne della Sabina, conoscitore di arte contemporanea e di politica internazionale, organizzatore di mostre, assai più incline ai boschi che ai salotti, lontano anche dal paradigma del militante-tutto-partito sin dalla culla. Sembra poco, ma è un affare dirompente a vederlo con la lente dem: un mondo che gira secondo precise filiere e logiche, fatto di ere sovrapposte e contigue, tanto intercambiabile nei singoli tasselli quanto abbastanza refrattario alle modifiche non previste, i cambiamenti figuriamoci.

 

Alivernini segue Schlein da tre anni, nel tratto d’ascesa della leadership, ma guai a pensare che lui sia il di lei fautore, l’artefice occulto. Allergico anche solo all’idea che si debba rintracciare per forza un uomo dietro a una donna, il comunicatore-marziano ha sin qui stroncato con cura maniacale qualsiasi tentativo di raccontarlo (zero interviste) men che meno di descriverlo come il manovratore di alcunché. Tant’è che a palazzo c’è chi malignamente l’ha soprannominato Rocco, nel senso di Casalino, per vendicarsi per qualche confidenza negata, sapendo che appunto Alivernini è il contrario dell’ingombrante portavoce di Giuseppe Conte. Tanto quello plasmava nella sua cucina mediatica i ruoli dei Cinque Stelle dal capo in giù, quanto Alivernini se ne sta invisibile, discreto, coerente con la tecnica politico-mediatica di Schlein che è appunto all’opposto di quella pentastellata. Quella imponeva e virava, questa elude e sottrae.

 

Sarà tutta colpa del fatto che entrambi hanno in curriculum fantasie di occupazione. La segretaria, come è noto, proclamava l’Occupy Pd (c’è in effetti riuscita). Il suo portavoce, a 20 anni, voleva occupare la biblioteca comunale di Palombara Sabina, il piccolo centro nella campagna romana in cui è cresciuto e dove c’è chi ancora ricorda la breve fase politica di Alivernini nella Sinistra giovanile, e di quella volta che volta appese sui cancelli del Cotral uno striscione dipinto a casa: “No al voto di scambio”. Durò in effetti poco. Fece piuttosto il curatore di mostre: scriveva su periodici specializzati, lavorava con Claudio Abate, il fotografo dell’arte contemporanea (Kounellis, Pascali, Beuys), vi unì una collaborazione con Limes e una venerazione per Lucio Caracciolo. Si trasferì poi a Bruxelles con l’idea di mettere su un centro culturale, finì a occuparsi di terrorismo e attentati e a collaborare con la Stampa. Leggendo il suo curriculum, nel 2015, Boldrini pare sia rimasta colpita dalla tesi in scienze politiche, sulla storia dell’idea di Europa. Il colpo di fulmine per Schlein fu nel 2018 un comizio alla Garbatella in cui lei parlava del Trattato di Dublino. Sensale fu poi l’ex portavoce di Renzi e di Rutelli, Filippo Sensi. Il primo colloquio si svolse in un albergo vicino alla stazione Termini e poi sul binario davanti al treno, secondo una tipica modalità di cui si dirà poi. La frase-miccia risuona ancora nella stanza arancio da vicepresidente da cui lei poi lo chiamò: «Sbrigati, c’è un sacco da fare».

 

Adesso si trova a gestire l’avvento della segretaria che non dichiara ma studia, non è ossessionata dalla comparsa sui giornali ma pretende di entrare dalla porta principale del Nazareno, vuole stare in piazza ma non nei retroscena (c’è chi la chiama la leader dell’imbrunire, perché è solita restare fino al calar del sole e alla dipartita dell’ultimo manifestante), quanto a impresa, in effetti, non è meno titanica di tutto il resto.

 

Nelle redazioni dei giornali quando si scopre che anche oggi la capa dem non offrirà parole sull’argomento del giorno, si urla per motivi diversi ma uguali a quelli di certe stanze del Nazareno, dove peraltro Schlein si è per ora limitata ad occupare la scrivania che fu di Enrico Letta posandoci la Costituzione, la borraccia rosa, fascicoli, la melagrana in ceramica che è il suo lascito (finirà presto in pezzi, è la vox populi). Un cambio dei paradigmi di narrazione che fa la disperazione dei cronisti pagati a pezzo e una certa antipatia da parte di quelli che David Foster Wallace chiamava «le matite», una strategia del non esserci, forse inattesa data l’età (Alivernini e Schlein in due non fanno gli anni di Mattarella), che ha già mandato più volte in tilt un sistema fatto di un continuo alimento dei mezzi di comunicazione e dei social (a proposito: il futuro è più video, meno card), così come delle polemiche interne al Pd. Adesso il diktat è: esserci meno, esserci meglio. Il pianeta rosso, appunto.