La scena fondante è quella sul palco del congresso Cgil a Rimini: Carlo Calenda che cerca i fischi, Nicola Fratoianni invecchiato di colpo, Giuseppe Conte ridotto a ruolo di groupie. E la segretaria dem che prende appunti. Da allora la lista non ha fatto che allungarsi

Persino i padrini, o presunti tali, hanno cominciato a storcere il naso: vuol dire che il fenomeno è in ampliamento. Pare, ad esempio, che in ultimo persino l’ex capo di areaDem (oggi areaDar) Dario Franceschini, sin qui imperturbabile, abbia alzato un sopracciglio, osservando come è stata composta la segreteria del nuovo Pd (una franceschiniana su 21): traccia di un disagio mai visto, a maggior ragione per chi è accreditato come il più potente e il meno parlante tra i sostenitori interni della neosegretaria.

 

L’attitudine al comando di Elly Schlein, proclamata capa del Pd giusto un mese fa, ha in effetti fatto sorgere una categoria sin qui scognita, almeno a questo livello, nel panorama della sinistra: quella del maschio in crisi. In crisi di potere, in crisi di ruolo: non solo al vertice c’è una donna, ma vuol pure decidere, ed è persino «cattivella» cioè si prende ciò che vuole. Qualcosa che solo in piccola parte somiglia a quanto accaduto a destra con Giorgia Meloni: lei prende tutto, come ha fatto in questi giorni di nomine, però a destra i Fratelli d’Italia se la sono scelta, non l’hanno subìta, eppoi almeno la premier sceglie quasi sempre maschi, almeno. Faccenda invece mai vista dal lato dem del tavolo, dove per la verità la conservazione alligna meglio che altrove e di conseguenza il maschio indisturbato scorrazza come si fosse negli anni Cinquanta (un saluto ad Andrea Orlando).

 

Politici, comunicatori e giornalisti si sono ritrovati a gestire a sinistra un soggetto giovane, donna, vincente. Sorpresa iniziale mutata in fastidio, quindi in sconcerto, non di rado in antipatia, quando poi la giovane, donna, vincente - addirittura non madre e, per colmo della disconferma del ruolo maschio, fidanzata con una donna - è risultata anche poco afferrabile, poco addomesticabile a strategie altrui, alla faccia degli occhi da cerbiatto accecato dai fari che ogni tanto le spuntano sul viso quando in tv cerca una risposta che svicoli. Insomma nel potere del centrosinistra – maschile al 98,9 per cento – siamo all’opposto dello «stai sereno»: è tutto uno stare sulle spine, nel migliore dei casi.

 

Nell’attesa che l’attività politica ne mostri nel concreto il grado di chiarezza programmatica e di efficacia pratica – partite tutte da cominciare - Schlein senza mai smettere di prendere appunti sul suo quadernino ha terremotato la sua parte verso un luogo sin qui mai sfiorato: allo scorrazzamento si è infatti sostituito il disagio. E, attenzione, ciò è avvenuto nell’intero centrosinistra: dal Terzo polo a Giuseppe Conte. Matteo Renzi dopo aver proclamato che con la sua vittoria alle primarie si sarebbero «aperte praterie» s’è buttato a fare il direttore del Riformista, gareggiando in cupio dissovi con Carlo Calenda e gettando con lui alle ortiche il Terzo polo. Nicola Fratoianni s’è visto stringere in uno spicchietto di campo, lui che prima aveva praterie a sinistra. L’ex favorito alle primarie dem Stefano Bonaccini si è ritrovato a lanciare ultimatum e convocare riunioni in cui si è perso per strada prima i neoulivisti (quando si sono decisi i capigruppo), poi i baseriformisti (quando si è decisa la segreteria). Giù per li rami, dentro al partito, è tutto un veder ridimensionate le proprie aspettative, come è accaduto ad Alessandro Alfieri, che si vedeva responsabile agli Esteri, a Gianni Cuperlo, che dopo essersi ritagliato un ruolo di candidato della sinistra classica era sicuro di avere diritto di tribuna, ma anche, per dire, a Marco Furfaro in predicato per una poltrona di vicesegretario poi rimasta vuota.

 

Non solo il Pd. Nella categoria maschi in crisi spiccano giornalisti rimasti interdetti, presi in contropiede e quindi magari protagonisti di mosse particolari: c’è chi ha raccontato ad esempio come si svolge il dialogo tra Schlein e Meloni (in realtà mai svolto), c’è chi ha continuato ad ammonire contro un cambio di linea sulla guerra in Ucraina (in realtà mai realizzato) o a raccontare lo strapotere delle correnti (s’è visto in segreteria: 5 su 21).

 

Esemplare la parabola di Marco Travaglio, che in quanto direttore de Il Fatto Quotidiano e notoriamente poco permaloso si può eleggere capofila della famiglia. Dalla vittoria, ha nominato Elly Schlein nella metà dei suoi editoriali. Con una parabola precisa. All’inizio il plauso per colei che è «la più distante dal Pd di Renzi, di Letta e di chi ha puntato su di lei», poi gli avvertimenti a diffidare degli «amorevoli consigli» del «partito degli affari», quindi il fervente ricordo di quando l’accordo Pd e Cinque stelle si poteva già fare, infine i consigli per il futuro: vale dire Schlein faccia la sinistra e Conte i Cinque stelle. Poi però la segretaria dem ha incontrato davvero Giuseppe Conte e qualcosa deve essere andato storto perché alla vigilia della prima Assemblea dem, Travaglio ha sentenziato: «Giornali e tv pompano il leader del momento come la rana della fiaba e la gonfiano come una mongolfiera fino a farla esplodere». Il giorno appresso era quello della vignetta che mostrificava Schlein, e di lì in poi ci s’è messa una croce sopra. Ha fatto prima Vittorio Feltri: «Lei, poverina, rappresenta il vuoto assoluto, il nulla condito con la supponenza. In sostanza, madame Elly è un bidone, un bluff».

 

La linea d’ombra per definire il maschio in crisi, salvo eccezioni, passa all’incirca per la metà degli anni Settanta. Quelli nati dopo, in genere, tendono a trovare una via, una elasticità nel tempo di magra (Peppe Provenzano, per dire). Quelli di prima, i quasi cinquantenni e oltre, molto meno. Fondamentale in questo senso il quadretto sul palco del congresso della Cgil, quando l’unica a suo agio pareva Schlein, mentre gli altri leader del centrosinistra cercavano di afferrare una centralità perduta: Calenda voluttuosamente in cerca dei fischi della platea, Fratoianni improvvisamente invecchiato e intento a dire «non sono io che sto sempre fermo, sono gli altri che si sono mossi», Conte affaticatissimo a rimettere in ordine le parole: «Il salario minimo? La proposta era mia».

 

Il leader dei Cinque Stelle, prima liberamente pattinante per le praterie deserte del lettismo, è il più sbalestrato: basti solo dire che è stato avvistato a mendicare attenzione dalla segretaria dem in ogni occasione possibile. Il 5 marzo, alla manifestazione antifascista di Firenze, si è messo in un angoletto del palco in piazza Santa Croce a salutare immaginari sostenitori, forse la stessa statua di Dante (neanche lui ricambiava) fin quando non è arrivato il momento giusto per chiederle cinque minuti di colloquio bisbigliato: quelli necessari a far scattare le fotografie poi finite su tutti i giornali, gridando al nuovo dialogo. In un’altra occasione, al congresso di Rimini, l’ex premier ha atteso seduto su un pouf la fine della di lei conferenza stampa, fuori dalla porta chiusa, come un groupie, per poi alzarsi quando lei usciva e fare l’aria di quello che passava lì per caso. E ancora: appreso che Schlein intendeva pranzare, ha avuto improvvisamente fame anche lui e costretto tutti al cambio di programma, chiusi in una stanza a mangiare panini e pasta fredda. Un uomo irriconoscibile rispetto al leader che faceva sognare Nicola Zingaretti e Goffredo Bettini.

 

Curioso che l’eccezione al maschio in crisi la faccia proprio il piddino più vicino a Conte, ossia Francesco Boccia. Già addetto ai compiti ingrati ai tempi della segreteria Letta, Boccia sembra uno che si sia arreso da tempo a un mondo che non capisce, e questo ne fa uno dei suoi più efficaci interpreti. Non a caso ne è capogruppo al Senato. Meno curioso che tra gli affaticati ci sia Vincenzo De Luca. Il governatore della Campania, dopo giorni di silenzio ha definito Schlein «arte povera» giusto alla vigilia del commissariamento del Pd nella sua regione. Certo, s’è cavato la soddisfazione di bloccare l’ingresso in segreteria della conterranea Pina Picierno, ma visto l’andazzo è legittimo ipotizzare che sia l’ultima.