Il rinvio non risolve. Per la messa a gara delle concessioni serve un’autorità terza sugli indennizzi. E molto dipende da come si muoverà in Europa la premier

Il decreto concorrenza prevedeva che a fine mese fossero emanati i criteri per l’aggiudicazione delle concessioni con i bandi di gara, in applicazione della Bolkestein. Di fronte a questa intricata questione che si trascina dal 2006, il governo ha improvvisato una risposta con il mille proroghe, rinviando tutto al 2025. L’allarme lanciato da più di 30 mila stabilimenti balneari, preoccupati della nebulosità delle discussioni sulla loro sorte, ha indotto il governo a ripiegare sulla panacea del rinvio. Nella promulgazione del mille proroghe il presidente Mattarella non poteva dimenticare la procedura di infrazione in atto per violazione degli obblighi derivanti dal diritto comunitario. Senza ricorrere al rinvio della legge al Parlamento ha preferito scrivere una lettera di accompagnamento, rilevando l’indifferibile necessità di rimediare a questo inciampo, al fine di evitare contraccolpi reputazionali al governo.

 

La presidente Meloni, in virtù dell’intervento del presidente della Repubblica, ha la possibilità, qualora non vi sia una strada per modificare la Bolkestein, di uscire dal tunnel in cui si è cacciata con una soluzione che salvaguardi la funzione degli stabilimenti balneari e il governo sul piano europeo e italiano. I nodi riguardano la modalità con cui saranno messe a gara le concessioni balneari, onde evitare accaparramenti e speculazioni, privilegiando chi gestisce le imprese sulla base dei parametri dell’anzianità e della affidabilità.

 

L’indennizzo sembra essere la questione più spinosa. Per evitare accrocchi e ricorsi la quantificazione dell’indennizzo potrebbe essere risolta prevedendo, nel bando di gara, la nomina di un perito da parte del tribunale competente, che, super partes, ne dovrebbe determinare il valore economico, compreso l’avviamento. Per consentire agli attuali concessionari di partecipare alle aste, evitando la solita frase, vorrei ma non posso, si renderà necessario che le banche siano messe in condizione di concedere agli attuali concessionari un finanziamento congruo garantito da Sace. In caso di successo, il finanziamento garantito rimarrebbe erogabile solo per la parte necessaria a coprire il prezzo dell’aggiudicazione della concessione, non dovendo pagare nessun indennizzo. Il governo è obbligato a superare questa impasse. Troppe sono le questioni aperte in sede europea: l’approvazione della riforma del salva-Stati, la rideterminazione del patto di stabilità che scorpori gli investimenti dal debito, la flessibilità del Pnrr con cui realizzare opere impiegando i fondi Ue esistenti, ma inutilizzati, la riforma degli aiuti di Stato all’economia da assicurare anche dopo il 31 marzo, usufruendo del coacervo dei finanziamenti del Repower Eu.

 

Particolare rilievo assume al riguardo la possibilità di utilizzare i fondi di coesione giacenti, che si perderebbero, per realizzare investimenti concentrai nel Meridione, senza minare «gli obiettivi della politica di coesione», che non riusciremmo a realizzare nella scadenza del Pnrr (2026).

 

La questione delle strutture balneari, pertanto, si inserisce in un groviglio di questioni da gestire in sede europea con il taglione di una procedura di infrazione. È solo dalla gestione a incastro di questi aspetti, vitali per far decollare di nuovo il Paese, che si potrà dire se la presidente Meloni è stata in grado di svolgere un ruolo propositivo in sede Ue. Sembra un paradosso, ma senza risolvere la questione delle spiagge, il governo rischia di trovarsi sballottato tra le onde vocali dei commissari europei.