Dagli avverbi di De Micheli, alle parole di Schlein, dalle foto di Cuperlo alle citazioni di Bonaccini. Chi corre per la segreteria dei dem prende impegni su tutto. Ma senza troppi sforzi di fantasia

Quando il mondo era giovane, per l’esattezza dal 1989 al 1994, in un bellissimo programma di RaiTre che si chiamava “Cartolina”, Andrea Barbato si rivolgeva ogni sera a un personaggio, che poteva essere un politico, uno scrittore, ma anche un anonimo (la cartolina indirizzata al nuovo utente del “telefonino portabile” è struggente, a riascoltarla). In una delle prime puntate, Barbato si rivolse a Batman. In quei giorni si pubblicizzava il film con Michael Keaton nel ruolo del titolo, e dunque c’erano i cartelloni affissi nelle città: ma a Roma si votava per il nuovo sindaco, dunque accanto ai manifesti di Batman c’erano quelli elettorali. Barbato ironizzò sulle promesse dei candidati, così simili alle azioni di Bruce Wayne quando si vestiva da pipistrello: proteggere i deboli, vendicare i torti, far trionfare il bene. Vinse Franco Carraro.

 

Ora, leggendo le mozioni dei candidati alla leadership del Pd, ci si chiede se gli anni non siano passati invano. Raddrizzare le ingiustizie, coinvolgere i giovani e le donne, lavorare contro il cambiamento climatico: tutto viene promesso. Non che queste cose non siano fondamentali, ovviamente, ma ci scoraggia sempre un po’ nel vedere che le promesse vengano esposte con rari o nulli tentativi di fantasia, e in modo didascalico. Certo, non si pretende che un programma elettorale diventi un testo dell’OuLiPo, ma verrebbe da fare una considerazione che in effetti vale per tutto quello che riguarda la comunicazione dei nostri giorni, e che in realtà è stata fatta molti anni fa da un editore, Valentino Bompiani: il problema non è facilitare le cose, ma accendere l’interesse in chi non le conosce e instillare il desiderio di capirle meglio. Pazienza.

 

Cominciamo. La mozione di Paola De Micheli ha come slogan “Concretamente. Prima le persone”. Per quanto riguarda la seconda parte della frase, va rilevato che è già stata usata da parecchi (da Nicola Zingaretti alla Pirelli post Covid passando per ActionAid e Amnesty International), ma, di nuovo, pazienza. Sulla concretezza si è già detto nella puntata dedicata ai programmi regionali, ma qui è stato usato l’avverbio e Stephen King avrebbe molto da dire. Lo ha detto, anzi, in “On writing”: «Con gli avverbi, l’autore rivela che teme di non esprimersi chiaramente, di non comunicare in modo adeguato concetti o immagini». Ammettiamo pure che sia ininfluente e passiamo alla parola «privilegio», che De Micheli usa moltissimo. Tutto è privilegio: essere il Pd, sbagliare come fa il Pd e volersi rialzare come il Pd, e infine: «È un privilegio essere donna, lavorare senza tregua per lasciare a mio figlio un mondo migliore e vivere ogni giorno la tenerezza della maternità». Io non so se essere donna sia un privilegio (al momento, è una faticaccia), né se lo sia davvero la maternità (immaginavo fosse una scelta): so che forse non è esattamente una parola che coinvolge. Ma pazienza, e quattro (ci sarebbe anche un cinque: la proposta di far organizzare alle correnti del Pd giornate di formazione «per dare e non solo per chiedere», ma non so quanto le giornate di formazione con, che so, Goffredo Bettini, siano allettanti).

 

La mozione di Gianni Cuperlo è bellissima. Non tanto per il titolo, “Promessa democratica”, ma per il modo in cui è stata concepita. In pratica, è un fotolibro di Cuperlo. Tra un testo e l’altro, infatti, c’è una sterminata galleria fotografica, di quelle che, sui social, attirano la pubblicità che ti offre di stampare e raccogliere in album tutte le tue immagini al costo di 30 euro. E dunque Cuperlo e Chiamparino. Cuperlo e Majorino. Cuperlo con leggio. Cuperlo su maxischermo. Pubblico che ascolta Cuperlo. Cuperlo in visita a Bologna. Cuperlo con la Costituzione. Cuperlo a Palermo. Cuperlo con le donne ucraine. C’è anche una foto con una ragazza di spalle con la bandiera tricolore, però non è Cuperlo.

 

Elly Schlein è la più moderna, sia nell’uso del punto esclamativo nello slogan (“Parte da Noi!”) sia perché è chiara e non retorica, e si permette anche di parlare di giustizia sociale (ricordate? «La libertà senza giustizia sociale non è che una conquista fragile e si risolve per molti nella libertà di morire di fame», diceva Sandro Pertini), sia di pronunciare la parola «patriarcato», sia di dire chiaramente che «diritti sociali e diritti civili sono inscindibili», sia di parlare di cultura («La cultura è il collante della comunità»). Sarà durissima.

 

La mozione di Stefano Bonaccini è austera. Neanche un colore, tutto nero su bianco e ben 71 cartelle di testo, diviso per capitoli. Capitolo primo, “Le ragioni della mia candidatura”, dalla nascita alla crescita alla decisione. Il senso: «La nostra gente ha sogni ma non vive sulle nuvole». Quindi la politica è fatta di compromessi, ma dobbiamo tenere insieme il sogno e la risposta concreta (ovviamente con l’aiuto delle Donne e dei Giovani Democratici). Bonaccini usa molte frasi in esergo dei vari capitoli: Enrico Berlinguer. Aldo Moro. Liliana Segre. Naomi Klein. Sandro Pertini. Filippo Turati. Alexander Langer. Adriano Olivetti. Carlo Petrini. Franco Arminio. Non per sfiducia nei testi scelti (gli autori sono tutti nobilissimi, o quasi), ma alla fine mi è venuta voglia di rileggere Robert Frost, che Kennedy volle all’inaugurazione della sua presidenza. In quell’occasione Frost recitò “Fermandosi accanto a un bosco in una sera di neve”. Dove dice: «Ma io ho promesse da non tradire/ Miglia da fare prima di dormire». Le promesse da non tradire, soprattutto. Perché non è che si possa sbagliare in eterno.