Nel documento del partito è lasciato spazio eccessivo agli avversari. Invece manca qualunque autocritica sugli errori commessi su immigrazione e scuola quando i dem sono stati al governo

“I pilastri della terra” è un romanzone di Ken Follett, pubblicato nel 1989, che si apre con un’impiccagione e si chiude con re Enrico II che entra nella cattedrale di Canterbury in ginocchio, confessando di aver istigato l’assassinio dell’arcivescovo Thomas Becket. Quando Thomas Stearns Eliot scrive “Assassinio nella cattedrale”, fa dire a uno dei cavalieri omicidi che, insomma, la colpa era però dell’arcivescovo: «Usò ogni sorta di provocazione; dalla sua condotta, passo per passo, non si può concludere se non che: aveva deciso di morire martire».

 

L’analogia con il programma elettorale del Pd è fin troppo facile: primo, perché al centro del programma medesimo ci sono i pilastri. Niente cattedrali gotiche, ma tre punti: sviluppo sostenibile e transizione ecologica e digitale, lavoro, conoscenza e giustizia sociale, diritti e cittadinanza. Secondo, perché, come si vedrà, non proprio una vocazione al martirio ma una chiusura in difesa è più che evidente.

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A favore: questo è un programma scritto come andrebbero scritti i programmi, ovvero con una visione ampia e un approccio concreto ai punti che si intende realizzare.

 

A sfavore, sempre restando sul piano generale, c’è l’elefante. Se ricordate, l’inizio di questa serie di articoli richiamava George Lakoff e il suo pamphlet sull’importanza di non pensare all’elefante, ovvero di non far proprio il frame dell’antagonista, ma di crearne uno nuovo. Ecco, qui c’è non un solo elefante, ma l’intero corteo degli elefanti rosa di Dumbo (quelli che hanno terrorizzato varie generazioni di bambini con la canzoncina «Son qua… son qua… i rosa elefanti siam»).

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Nella lunga premessa, infatti, si evoca continuamente la destra, rimarcando l’importanza di «offrire agli Italiani e alle Italiane un progetto limpidamente alternativo a quello di una destra che ha riconfermato tutta la sua inaffidabilità». E ancora: «Un governo di queste destre rappresenterebbe un pericolo per l’Italia», «la destra italiana rappresenta una concreta minaccia per l’economia, la coesione sociale, l’ambiente. La destra italiana propone una visione oscurantista e isolazionista del Paese. La destra italiana diffonde paura, avversione, odio».

 

D’accordo, non hanno letto Lakoff. Se ne era avuta un’avvisaglia in una delle immagini diffuse all’inizio della campagna elettorale, raffigurante un pensoso Matteo Salvini e alcune delle sue, diciamo, promesse: «Faremo centomila espulsioni all’anno», «mi dia due settimane al ministero dell’Interno e ne espello cento al giorno». Ecco, se pensate che gli sia stata contestata l’idea dell’espulsione sbagliate di grosso: la scritta (del Pd) era «Un anno con Salvini ministro: 7.289 rimpatri, 19,96 al giorno». E subito sotto «Destra italiana: solo propaganda, zero soluzioni». In pratica, gli è stato rimproverato di aver espulso troppo poco.

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Già che ci siamo, andiamo a vedere cosa si dice nel programma sui migranti: come forse immaginate, non appare il nome di Marco Minniti. Sì, c’è l’Agenzia di Coordinamento delle politiche migratorie, l’abolizione della Bossi-Fini, l’allargamento dei corridoi umanitari. Ma non si parla del Memorandum Italia-Libia, degli accordi con la Guardia Costiera di Tripoli, e ci si dimentica anche qualcosa: quando nel programma si scrive: «Siamo stati, siamo e saremo sempre contro politiche di respingimenti, apparenti “chiusure dei nostri porti” o, addirittura, non meglio precisati “blocchi navali”: vale il sacrosanto principio per cui chi è in pericolo in mare va soccorso e salvato sempre», forse sfugge dalla memoria che quel sempre andrebbe preceduto da un quasi: per esempio, Anna Ascani, vicesegretaria Pd e poi viceministro all’Istruzione, il 20 gennaio 2019 dichiarava: «Non mi vergogno di quanto ha fatto Minniti perché c’era un problema di accessi non regolati nel Mediterraneo mentre ci preoccupavamo solo dei superstiti». Vale la pena di ricordare che il 14 novembre 2017 l’Alto commissario Onu per i diritti umani Zeid Raad Al Hussein aveva definito disumano e vergognoso il memorandum (per il resto, continuare a chiedere a Papa Francesco).

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Però nel programma ci sono tante sagge proposte. C’è molto spazio alla cultura, al piano nazionale per la lettura, alle periferie. E, a proposito, si parla della «scuola come motore del paese». Benissimo. Però verrebbe sommessamente da ricordare che per 8 degli ultimi 9 anni il Pd poteva ben occuparsi di scuola avendo di fatto avuto quattro ministri dell’istruzione: Maria Chiara Carrozza, Stefania Giannini, Valeria Fedeli, Patrizio Bianchi. Passi. Inoltre, a ben spulciare, si nota che la Buona Scuola di fatto non viene toccata: restano i pieni poteri del Dirigente Scolastico, per esempio, né vengono eliminati i guasti di Letizia Moratti e Mariastella Gelmini, e dunque resta il maestro unico alla primaria, dopo la cassazione dei tre maestri operata da Gelmini. In compenso, non si parla del taglio di 10.000 posti di lavoro nei prossimi anni (Dm 150/22 del 29 giugno, il cosiddetto Decreto Pnrr2) né della creazione del “docente esperto” (Dl 115/22 del 9 agosto), né dell’attribuzione dei fondi per la lotta alla dispersione col criterio delle classifiche Invalsi (Dm 170/22 del 24 giugno) che privilegia i licei classici, esclude i Centri Provinciali per l’istruzione degli Adulti, e privilegia la scuola secondaria rispetto alla primaria, e neppure della sperimentazione del liceo di 4 anni. Ma forse, appunto, è perché qui ci sono le parole, ma certe disattenzioni, diciamo così, trapelano ancora.

 

E dunque? Alla fine della storia, e dei programmi, non c’è che il voto di domenica prossima. L’analisi fatta in queste settimane è un appello ad astenersi? No, in nessun modo. C’è, invece, l’invito a riflettere, e provare a trovare una possibilità in quello che viene offerto. Sapendo, magari, che la società che sogniamo dobbiamo costruircela tutti e tutte, e non solo trovarla scritta in un programma. Abbiamo cominciato con Eliot, con Eliot chiudiamo: da un’altra opera, “Il canto d’amore di Alfred Prufrock”, questo l’invito, questo il primo gesto:

 

Allora andiamo, tu ed io,
Quando la sera si stende contro il cielo