Doveva essere il centro del campo largo, ma l’alleanza tra dem e 5 Stelle sta di fatto saltando. E al Nazareno cresce il malcontento verso il la linea del segretario che in assemblea dice: “Ora pensiamo a noi”

Lo strappo del leader del Movimento 5 stelle Giuseppe Conte di certo ha ottenuto un risultato, oltre a far perdere l’equilibrio al governo di Mario Draghi: incrinare l’asse con il Partito Democratico e aprire una crepa nella quale si stanno fiondando diverse anime dem per convincere il segretario Enrico Letta a rompere definitivamente con il Movimento 5 Stelle. Molti capicorrente chiedono di mettere subito in soffitta l’asse giallorosso e quelle frasi della sinistra Pd di Nicola Zingaretti e Goffredo Bettini sull’avvocato del popolo «riferimento fortissimo» per i progressisti e lo stesso Letta in assemblea dopo lo strappo di Conte dice: «Adesso comunque dobbiamo pensare a noi».

 

Le mosse del presidente dei Cinque Stelle che ha aperto una crisi che, evidentemente, non ha saputo più gestire (tanto che fino all’ultimo momento non si capiva che cosa avrebbe votato in Senato il Movimento di fronte a Draghi dimissionario e poi si è astenuto rompendo ancora una volta l’asse con i dem) hanno aperto gli argini: e quelli che prima erano solo bisbigli nei corridoi di Montencitorio, di Palazzo Madama e di via del Nazareno, sono diventate urla al telefono e nelle riunioni riservate. Tanto che qualche peone tra i dem in Parlamento ha iniziato a chiedere la testa del proprio segretario «che ha giocato tutte le sue carte su questa alleanza, ha sbagliato, e quindi dovrebbe trarne le conseguenze».

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Il Partito Democratico rischia l’ennesima giravolta restando con il cerino in mano, isolato in vista del voto per le Politiche e senza una strategia chiara: «Un disastro, a questo punto dobbiamo correre da soli e massimizzare il risultato del Pd al voto provando almeno a essere primo partito nel proporzionale davanti a Fratelli d’Italia e alla Lega», dice un componete di peso della segreteria dem a L’Espresso dopo la giornata di mercoledì scorso e il caos sul governo Draghi. In realtà proprio il giorno delle comunicazioni di Draghi in Senato sulla crisi, la prima a rompere pubblicamente gli argini del “grande” asse Letta-Conte è stata l’ex ministra Marianna Madia, che in una intervista a Repubblica ha detto che «i Cinque Stelle sono degli spregiudicati, avendo aperto una crisi da folli» e che «questo Movimento è incompatibile con il Pd».

 

Aperto il giornale, in via del Nazareno Letta è andato su tutte le furie e ancor prima dell’arrivo di Draghi a Palazzo Madama ha fatto mandare una velina alle agenzie: «Le frasi della Madia non riflettono il pensiero della segreteria del partito». Un tentativo, disperato, di tenere tutti uniti e buoni da parte di Letta che confidava in una «giornata meravigliosa» che si è presto trasformata in un incubo dopo che Silvio Berlusconi e Matteo Salvini hanno preso la palla al balzo offerta da Conte per aprire davvero la crisi del governo Draghi. Una velina che ha dimostrato debolezza e non forza, perché il segretario sapeva già bene che il malumore covava da tempo nel suo partito non solo nei confronti di Conte e delle sue giravolte, ma anche nei confronti di tutta l’operazione campo largo con i grillini in calo di consensi in maniera vertiginosa: vedasi voto delle amministrative di Palermo, una delle roccaforti dei Cinque Stelle, che ha visto il Movimento arrivare ad appena il 6 per cento dei consensi nonostante l’impegno di Conte in persona che ha girato tutti i quartieri della città in campagna elettorale. 

 

Non a caso, a esempio, in via del Nazareno si vocifera di dialogo serrato tra Letta e il suo vice nel partito, Giuseppe Provenzano, proprio nei giorni tra il mancato voto di fiducia del Movimento Cinque Stelle al ddl Aiuti e le comunicazioni di Draghi in Senato. Provenzano ha ribadito la necessità di una riflessione  sull’alleanza con i Cinque Stelle: un’alleanza che rischia di mettere in grande difficoltà il partito tra l’altro senza quel valore aggiunto in termini di consenso. Della stessa opinione anche Matteo Orfini, che ai suoi ha detto chiaramente che a questo punto «meglio provare a superare Fratelli d’Italia» e diventare comunque primo partito anziché finire trascinati in basso dal crollo del Movimento. 

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Provenzano e Orfini erano già, ben prima del mercoledì nero di Letta, un grande campanello di allarme per il segretario, considerando che culturalmente sono più vicini all’area degli ex Ds rappresentata da Zingaretti e Bettini che invece restano i più grandi sostenitori dell’alleanza con l’avvocato del popolo: tanto che proprio Bettini anche durante la confusione in Senato sul futuro del governo Draghi ribadiva che occorreva «ascoltare le istanze portate avanti da Conte». Concetto che aveva espresso anche all’ultimo coordinamento del partito in collegamento dalla Thailandia, facendo scattare la risposta del governatore dell’Emilia Romagna Stefano Bonaccini: «Ma basta con questi Cinque Stelle».

 

Anche la corrente Base Riformista del ministro della Difesa Lorenzo Guerini ha aperto ad una rottura con i Cinque Stelle, nonostante da questo fronte proprio nei giorni della crisi si invocava massima cautela:  «Perché senza i Cinque Stelle restiamo soli, ormai Carlo Calenda si è convinto che ha più visibilità andando in solitaria e non possiamo presentarci solo con Italia Viva di Matteo Renzi e i centristi che restano fuori dal centrodestra perché non graditi», ragionava uno dei più stretti collaboratori del ministro. Un ragionamento che però dopo il caos sul governo avviato da Conte non regge più. Dice a L’Espresso un deputato di Base riformista molto vicino a Guerini: «Come possiamo dire adesso agli elettori che andiamo a votare con Conte che ha rotto l’accordo che avevamo sul governo Draghi nel momento peggiore per il Paese? E allo stesso tempo, il segretario Letta che ha puntato tutto su questa alleanza non dovrebbe quanto meno presentarsi in direzione e dire “ho sbagliato”?».

 

Nel Partito democratico crescono i dubbi sull’alleanza con i Cinque Stelle, anche se proprio questa domenica in Sicilia sono previste le primarie per la scelta del candidato governatore insieme a grillini e sinistra: in campo per i dem l’eurodeputata Caterina Chinnici, per i Cinque Stelle la sottosegretaria Barbara Floridia e per la sinistra da indipendente il deputato regionale Claudio Fava. Il rischio è che l’esito di questa consultazione sia buono soltanto per qualche titolo di giornale, e nulla più, venendo disatteso poco dopo. Impossibile derubricare ad accordo locale un patto con i Cinque Stelle che nel frattempo si è rotto a livello nazionale. Impossibile fare finta di nulla nell’Isola. 

 

Il Partito democratico comunque rischia davvero l’isolamento e di doversi presentare al voto, in Sicilia, in Lombardia e a livello nazionale, da solo e senza alcuna possibilità di andare a governare a Palermo ma soprattutto a Roma: considerando anche la legge elettorale nazionale che prevede collegi uninominali che obbligano ad avere coalizioni al seguito per provare a vincerne qualcuno. Letta si gioca il posto di segretario, e lo sa, perché ha puntato tutto su Conte e non può certo pensare di andare al voto al massimo con un accordicchio con Italia Viva del mai amato Matteo Renzi.

 

Anche perché, fare una campagna elettorale con i renziani soltanto è una impresa impossibile. Basta vedere quello che è accaduto a Bologna, dove proprio nel D-day del governo Draghi volavano gli stracci tra i renziani e il sindaco Matteo Lepore. Per gli esponenti di Italia viva erano «indigeribili» le parole del sindaco dem che aveva attaccato il referendum sul reddito di cittadinanza lanciato dal senatore di Rignano. Il portavoce di Iv, Alberto De Bernardi, ha detto: «Difendere il reddito di cittadinanza serve solo strumentalmente per fare la respirazione bocca a bocca all'alleanza progressista con il M5S, che fa acqua da tutte le parti. E se Lepore ci rimprovera e dice che se non amiamo il popolo non saremo ammessi al campo largo, lo vogliamo rassicurare: a noi quel campo non interessa per nulla».

 

Proprio questo scenario, a dir poco pessimo, continua a far sperare ancora Letta e anche Dario Franceschini in una possibile alleanza con il Movimento Cinque Stelle per le prossime Politiche sostenendo la tesi che sì, Conte ha sbagliato mossa: ma in fondo non è stato lui a picconare Draghi, ma Salvini e il centrodestra. Non a caso continuano in questi giorni gli incontri riservati tra il segretario dem, il ministro della Cultura, Roberto Speranza di Leu e il presidente del Movimento Conte. Ma la strada è sempre più in salita e i malumori delle varie anime dem sull’alleanza con i grillini ormai sono esplosi e difficilmente Letta riuscirà ad andare dritto per la sua strada, l’unica imboccata da quando si è insediato alla guida del Nazareno.