Separazione tra giudici e pm, arresti, legge Severino, pagelle ai magistrati, elezione del Csm. Il 12 giugno si vota, ma solo un elettore su 4 lo sa. E senza quorum sarà un nulla di fatto

La litania sui referendum della giustizia è questa: manca poco alla consultazione referendaria del 12 giugno, ma tra gli italiani e le urne si misura una distanza abissale. Il problema è culturale, non politico. I temi di giustizia sottoposti al voto sono complessi, antichi, circondati da una cortina di scarsa informazione che li rendono per così dire «antipatici». Non c’è un hashtag che generi like, non sono «interessanti», nonostante gli italiani abbiano bocciato il funzionamento della giustizia nel nostro Paese. Stando a un sondaggio dell’Istituto Demopolis: per il 66 per cento dei cittadini il sistema italiano non funziona. Eppure, sui quesiti della giustizia soltanto un elettore su quattro è informato, ci dice un sondaggio Swg. Gli elettori medi non intendono andare a votare perché, di fatto, non capiscono i quesiti.

 

«È una materia troppo complessa», ha risposto il 25 per cento degli aventi diritto al voto. A cui seguono quelli che diserterebbero le urne «perché è inutile» (19 per cento); perché «non mi interessa» (17 per cento). Il disorientamento degli elettori è grande ma partiamo dall’inizio. Gli italiani dovranno rispondere a cinque quesiti promossi dal Partito radicale, che hanno trovato fin dall’inizio il consenso del leader della Lega Matteo Salvini. Per la validità della consultazione referendaria è necessario però che si rechino alle urne metà degli aventi diritto al voto più uno.

 

Ma su cosa sono chiamati ad esprimersi? Prima di tutto la separazione delle funzioni dei magistrati. Oggi, pm e giudici condividono la stessa carriera e si distinguono solo per funzioni. Il referendum, invece, punta a rendere definitiva la scelta, all’inizio della carriera, di una o dell’altra funzione. Si cancella così il passaggio nel corso dell’attività lavorativa dalla funzione di giudice a quella di pm. Va ricordato un precedente: nel 2000 la Corte corresse il titolo del referendum (da «separazione della carriere» a «separazione delle funzioni», ma non fu raggiunto il quorum per la partecipazione).

 

Il secondo quesito punta a cancellare il decreto Severino che ha introdotto decadenza e incandidabilità dei condannati in via definitiva per reati gravi contro la Pubblica amministrazione, fissando inoltre un regime rigoroso per eletti e amministratori locali, non eleggibili o decaduti se condannati in primo grado. Con la vittoria dei Sì, tornerebbe in vigore la legge precedente, che prevede l’interdizione dei pubblici uffici solo come pena accessoria decisa dal giudice.

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Il terzo riguarda la custodia cautelare, cioè la detenzione degli indagati o imputati prima della sentenza definitiva. Con la vittoria dei Sì, i presupposti che consentono di arrestare qualcuno (prima che sia riconosciuto colpevole) vengono ristretti ai casi di pericolo di fuga, inquinamento delle prove e rischio di commettere reati di particolare gravità, con armi o altri mezzi violenti. La custodia cautelare non sarà confermata per il reato di finanziamento pubblico dei partiti. Il quarto riguarda il sistema di elezione del Csm: se vincessero i Sì, sparirebbe l’obbligo di 25 firme di magistrati per proporre una candidatura. Secondo i promotori, questo limiterebbe il peso delle correnti nel Consiglio Superiore.

 

L’ultimo quesito riguarda le pagelle degli avvocati ai magistrati: prevede un intervento abrogativo di una legge del 2006. All’interno del Consiglio direttivo della Cassazione e dei Consigli giudiziari regionali, gli avvocati potrebbero valutare la professionalità di pm e giudici.

 

Sui referendum pende però l’incognita della riforma dell’ordinamento giudiziario spinta dalla ministra Cartabia, licenziata alla Camera e in attesa al Senato. Se la riforma dovesse passare, gli italiani potrebbero dover esprimersi solo su tre di questi cinque quesiti. Resterebbero fuori: il sistema elettorale del Csm e la separazione fra giudici e pm. Il primo perché anche la riforma Cartabia non prevede la raccolta firme: si introducono candidature individuali e un sistema misto proporzionale maggioritario. Il secondo, cioè la separazione fra giudici e pm, perché la riforma ridurrebbe già i passaggi: se oggi sono ammessi quattro passaggi tra funzione giudicante e requirente nel corso della carriera, con la riforma Cartabia si riducono a uno. Mentre se vincessero i Sì al referendum ogni spostamento sarebbe del tutto escluso.

 

Intanto, dentro le aule di giustizia gli addetti ai lavori fanno finta di nulla ma ci pensano tutti, e qualcuno a pensarci si incupisce anche un po’. Quasi divisi per squadre, favorevoli e contrari, gli avvocati denunciano il silenzio mediatico sulla chiamata alle urne, i magistrati fanno spallucce e un po’ sorridono.

 

«Se ne parla davvero poco, meglio non se ne parla proprio», l’avvocato Gian Domenico Caiazza, presidente dell’Unione delle Camere penali italiane, attribuisce all’indifferenza dei media il disinteresse degli italiani: «Le tribune elettorali non servono a nulla, quello che serve è creare il dibattito nel Paese. Certo -sottolinea- con la Corte Costituzionale che ha fatto fuori i referendum più popolari tutto è più difficile. Eutanasia, droga e la responsabilità del magistrato, tutti temi che avrebbe portato sicuramente più gente al voto» Ucpi resta comunque compatta e voterà a favore del Sì, specifica Caiazza: «Anche se questa non è un’iniziativa sollecitata da Camere penali, la sosterremo. Importante è il tema dell’abuso della custodia cautelare che va affrontato. Ed è incredibile la reazione della magistratura al fascicolo delle performance dei togati. C’è una circolare del Csm del 2007 che impone anche la valutazione degli esiti dei procedimenti penali, non c’è niente di nuovo».

 

Distante è la posizione di Anm, l’Associazione nazionale magistrati, come sottolinea il suo presidente Giuseppe Santalucia: «Se l’elettorato non li trova interessanti è perché in effetti non lo sono. Anche io non andrò a votare. Pensiamo alle pagelle per le toghe: noi non siamo contrari alle valutazioni, siamo uno dei corpi professionali più valutati. Ma la valutazione deve rispettare la professionalità, non sollecitare sentimenti di competizione».

 

Bocciato anche il referendum sulla separazione delle funzioni: «Non si può cancellare il passaggio nel corso dell’attività lavorativa dalla funzione di giudice a quella di pm perché questo consente di essere magistrati di qualità. Pensiamo a Giovanni Falcone che nel suo percorso professionale aveva potuto fare esperienza dei vari mestieri». E se bolla come «scarso» il referendum sulla raccolta firme, il presidente di Anm definisce «irragionevole» l’abolizione della legge Severino: «È il primo grande intervento di prevenzione della corruzione in un Paese che ha affidato questa lotta solo alla magistratura, senza pensare alla prevenzione. Veramente contraddittorio il quesito, come se la corruzione non esistesse». Da difendere anche la custodia cautelare: «Va applicata anche quando c’è un pericolo di reiterazione di delitti anche se non commessi con violenza o minaccia o armi, pensiamo ai colletti bianchi».