Le campagne contro Berlusconi per distrarre la base, l’assenza dei 5 Stelle, gli appelli riciclati, i quirinabili in tattico silenzio. L’elezione del Presidente della Repubblica non è “duepuntozero”

Non si sale al Colle con un tweet, né tantomeno con like e cuori. E che un’elezione nel 2022 non veda alcun contributo dalla Rete è già una notizia. La corsa al Quirinale è infatti un argomento che alimenta dibattito e tifo sui social e sul web, appassionando migliaia di persone: ma l’impatto che la chiacchiera digitale ha sulla sfida per il Colle è vicina allo zero. Anzi, conta persino meno rispetto agli anni passati.

 

Da una parte ci sono i partiti e i loro leader che si limitano a usare i propri canali per indirizzare i follower lì dove non possano fare danni, magari con prevedibili campagne contro o a favore di Berlusconi. Dall’altra ci sono i “quirinabili” che si sono rintanati nel più tattico dei silenzi e tirano fuori la testa solo per mostrare quanto sono istituzionali e internazionali. Nel mezzo i consueti appelli degli intellettuali a favore di un nome alto - poi regolarmente ignorato dalla politica - stavolta non si sono neppure visti o si sono limitati al riciclo di mobilitazioni di sette o più anni fa.

 

Tanto fumo, poco arrosto
Secondo i dati elaborati da DataMediaHub per L’Espresso, nell’ultimo mese, solo su Facebook, tra pagine e gruppi aperti, sono stati creati oltre 30mila post sul tema del presidente della Repubblica, che hanno attirato più di tre milioni di interazioni tra like, commenti e condivisioni. Non molto diversa è la situazione sulle altre piattaforme più sensibili alle news come Twitter e, in parte, Instagram, in cui tra i trend del giorno spesso compare qualcosa che ruota intorno alla corsa al Quirinale.

 

 

L’interesse quindi c’è, ma basta guardare i post che generano più rumore per capire che si sta girando a vuoto. I tre contenuti che hanno generato più rabbia riguardano tutti Silvio Berlusconi e Forza Italia, così come due dei tre che hanno accumulato più condivisioni e arrivano tutti da esponenti, ex o influencer di area 5 Stelle. Sempre dal Movimento 5 Stelle negli ultimi giorni sono partite varie campagne contro il fondatore di Mediaset al Quirinale. Un paradiso per i social media manager (le persone che gestiscono i profili dei politici): quello del Cavaliere è il nome polarizzante per eccellenza e, grazie agli algoritmi che premiano i contenuti più emozionali, parlare di lui è garanzia di like e visibilità. Monete utili in questi tempi di governo di unità nazionale che appannano le identità politiche.

 

Da Ro-do-tà a non-si-sa
D’altra parte il grande assente online è proprio il Movimento, che nelle ultime convocazioni aveva abituato a ben altri standard. Nel 2013 con le Quirinarie, il voto online per gli iscritti, i pentastellati avevano fatto scegliere alla base la loro rosa delle personalità per l’elezione del presidente della Repubblica. Dopo la rinuncia di Milena Gabanelli e Gino Strada, il nome di Stefano Rodotà (ex esponente dei Ds e garante della Privacy) aveva creato non pochi imbarazzi al Pd che poi, con il tradimento dei 101 contro la candidatura di Romano Prodi, finì per implodere aprendo al Napolitano bis e mettendo fine alla segreteria Bersani. Il nome di Rodotà, scandito sui social e nelle piazze, divenne un tormentone e un monito di quanto una campagna online, gestita dall’alto, potesse trasformarsi in una spina nel fianco per i partiti.

 

Nel 2015 i 5 Stelle ci riprovarono con il giudice Ferdinando Imposimato, senza però impensierire la maggioranza di centrosinistra. A questo giro, per provare a contare qualcosa, i gruppi hanno dato mandato a Giuseppe Conte. Ma “l’avvocato del popolo” più che di eventuali ratifiche online dovrà preoccuparsi dei nemici in casa. E anche per questo, per distogliere l’attenzione dal tavolo degli accordi e dai guai interni, nella galassia social 5 Stelle è scattato l’ordine di intrattenersi con Berlusconi.

 

Purché non se ne parli
Anche gli altri partiti preferiscono maneggiare con molta attenzione la Rete se si parla di Quirinale. Secondo una ricerca sul tema della società Kpi6 per Agi, quasi nove discussioni su dieci su Twitter - ne sono state analizzate dagli algoritmi circa 90 mila - riguardano Draghi o Berlusconi. Ma per entrambi il giudizio (in gergo tecnico “il sentiment”) è in media assai negativo: nel 95 per cento dei casi per il Cavaliere e nel 75 per cento per l’attuale presidente del Consiglio. La ritrosia dei partiti a gettare nella mischia un loro nome con l’aria che tira è insomma supportata dai numeri: il rischio di bruciarlo, anche nell’opinione pubblica, è alto.

 

La stessa prudenza la adottano anche i quirinabili, i papabili candidati al Colle. Mario Draghi e Marta Cartabia non hanno profili personali ma solo quello dell’istituzione e del ministero che guidano, e anche Giuliano Amato è fuori dai giochi social. Silvio Berlusconi è invece impegnato da un mese a questa parte a far vedere il suo volto più internazionale, tanto che tutti i post più recenti li ha dedicati alle sue amicizie in Europa e con i leader internazionali. Stessa strategia per Pier Ferdinando Casini che ha abbandonato i temi italiani per discutere online solo di politica e relazioni estere.

 

Poco animata è anche la gara delle varie tifoserie su Facebook che vede Rosy Bindi in vantaggio con un gruppo di oltre 12 mila persone che la vuole presidente e sopravanza Draghi (11 mila per lui). Nettamente staccata Marta Cartabia con un gruppo che conta meno di duecento persone. Non pervenuti tutti gli altri.

Qualche gioia lo regala invece il chiacchiericcio su Twitter, il social più amato dai giornalisti e dagli opinion leader. Qui va in scena ogni giorno una gara per conquistare con il proprio hashtag i trend topic e in questo modo attirare un po’ di attenzione. La comunità antifascista di FacciamoRete è impegnata da alcune settimana nella campagna #NoQuiriSilvio, ma negli ultimi giorni non sono mancate le sorprese come l’arrivo nei trend topic di #BersaniPdr in sostegno dell’ex ministro e segretario del Pd Pierluigi Bersani, rilanciato da sinistra e dall’area 5 Stelle (la stessa che, con la famosa diretta streaming con Crimi e Lombardi, ne avviò il declino politico) e persino qualche catena in favore di Walter Veltroni. Nella speranza di entrare nel toto Quirinale dei quotidiani e poi chissà…

 

 

L’appello vecchio fa buon brodo
 Assenti o quasi dal dibattito sono anche le cordate della società civile in favore di figure di prestigio. Forse raffreddati da una maggioranza in mano al centrodestra (non che il centrosinistra li abbia mai ascoltati), gli appelli capaci di fornire una base solida per una candidatura non si sono visti e hanno lasciato il posto a iniziative di puro marketing editoriale o a estemporanei attestati di stima. E così si sono viste passare sui profili le raccolte firme a favore di Liliana Segre (che ha ringraziato ma si è detta non disponibile), o redivivi appelli per Emma Bonino, Luigi Manconi o per una “donna presidente”. Tutto già visto. Un effetto nostalgia che è arrivato persino ad assorbire il lato comico del web, con l’assenza di candidature provocatorie come quella di Giancarlo Magalli nel 2015. Non si scherza e non si fa sul serio. Sul Colle la Rete proprio non prende.