Nelle città le manca proprio una classe dirigente di qualità corrispondente alla sua forza elettorale. E dal cilindro sono riusciti a far uscire solo Enrico Michetti a Roma e Luca Bernardo a Milano

Rara avis il candidato civico di destracentro. Ancorché sia spuntato - dopo ricerche molto lunghe - in queste elezioni amministrative. Per certi versi, servirebbe quindi una fenomenologia “per assenza” del candidato che non c’è (o che, comunque, esce allo scoperto piuttosto di rado). E si tratta del segnale di una relazione della destra non troppo sciolta, né così agevole con la società civile che proviene da lontano, a parte la parentesi anni Novanta del berlusconismo, che stipò il Parlamento di figure provenienti dal mondo economico e da quello delle professioni, nonché di comunicatori a vario titolo. E, nella fase piena di promesse dell’(assai)incompiuta “rivoluzione liberale”, ci fu perfino brevemente posto per qualche professore. Mentre, in seguito, a dilagare furono persone di professione decisamente più incerta, e pure qualche esponente di quella che si potrebbe etichettare più appropriatamente come la società incivile.


La strategia del candidato civico del destracentro risponde a vari obiettivi. Se si tratta di amministrative, come quelle di inizio ottobre, il civico può piacere di più, mettendo anche (faticosamente) d’accordo partiti litigiosi che faticano a intendersi su chi abbia diritto di precedenza alla candidatura. E, magari, pensa maliziosamente qualcuno, può funzionare anche come capro espiatorio sul quale scaricare un’eventuale sconfitta. Solo che i civici non si sono affatto affollati dalle parti del destracentro, non foss’altro in ragione dei sondaggi che lo danno come maggioranza nel Paese. E, anziché ritrovarseli spuntare come funghi, Matteo Salvini e Giorgia Meloni se li sono dovuti andare lungamente a cercare col lanternino, ritardando l’inizio delle campagne elettorali locali.

 

Alla fine, dal cilindro sono usciti fuori Enrico Michetti a Roma e Luca Bernardo a Milano, non proprio due prime scelte, arrivati dopo parecchi rifiuti e casting di altri andati in fumo. Michetti è un avvocato, alquanto appassionato di storia dell’antica Roma (che, sebbene gloriosa, non è precisamente un progetto per il futuro...), quando le buche nelle strade venivano colmate con maggiore solerzia di quanto è avvenuto dopo la mancata “rivoluzione grillina”. E, soprattutto, è un tribuno radiofonico del popolo sovranista (e tifoso) capitolino, una versione alla vaccinara dei “radiopredicatori” che tanto hanno influito sui consensi del trumpismo e affini. Bernardo, primario di neonatologia all’Ospedale Fatebenefratelli-Sacco, è balzato agli onori delle cronache come il «pediatra con la pistola in tasca», arrivando ai blocchi di partenza elettorali davvero in zona Cesarini.

E, per quanto sia un medico stimato e riconosciuto, dalla già città vetrina del centrodestra sarebbe stato lecito aspettarsi nomi più altisonanti e importanti.

 

Perché il problema della destra, a proposito di candidati che non ci sono, è che nelle città le manca proprio una classe dirigente di qualità corrispondente alla sua forza elettorale. Non sul territorio in generale - basti pensare ad alcuni dei suoi votatissimi governatori (come Luca Zaia o Massimiliano Fedriga) - ma specificamente nei centri urbani e nelle aree metropolitane. Una frattura vecchia come la storia dei partiti quella tra città e campagna, si potrebbe dire. Certamente; nondimeno, questa incapacità di dotarsi di gruppi dirigenti cittadini all’altezza (provando per giunta a metterci la pecetta del candidato civico “che non c’è”) non rappresenta soltanto un grattacapo per il destracentro. Ma un fattore di debolezza complessiva del sistema politico e del Paese.