Le percentuali degli ultimi ballottaggi raccontano perché sia difficile per Berlusconi e Salvini trovare un'alleanza: la Lega è forte, ma solo al nord; Forza Italia è ridotta a lumicino, ma essenziale. Al sud, tra i Fitto, gli Alfano e i fratelli d'Italia, prevale una geografia da mal di testa

Nessun leader plausibile all’orizzonte, tranne Salvini che però a fare il moderato non ci pensa proprio. Nessuna formula di alleanza, o di linea programmatica comune. Risultati in termini numerici da paura (tranne che per la Lega). Insomma, il centrodestra in piena esultanza da “eppur si muove” sventola all’indomani dei ballottaggi una caramella con su scritto “vittoria”: bellissima la carta e sgargiante, ma l’interno in realtà piuttosto preoccupante, per non dire vuoto.

Ciascun partito tira a sé il merito, ma la vittoria, dove è arrivata - da Brugnaro a Venezia a Ruggieri a Matera - è stata per lo più portata a braccio di candidati della società civile, o comunque tutt’altro che espressione dei vertici nazionali. “Uniti si vince” è il mantra, eppure – al di là dei casi locali – di unità complessiva, coerente e programmatica non vi è traccia, anzi: Berlusconi non vuol lasciare lo scettro a Salvini, Salvini non vuole “frittatine” o “minestrine” di centrodestra e scansa l’Ncd, l’Ncd non vuol uscire dal governo come gli chiede Forza Italia; per ora il massimo della vita è programmare un vertice.

E per un Brunetta che, nonostante il 3,75 di Forza Italia, esulta dicendo “adesso vinciamo ovunque con il modello Venezia”, c’è un Gasparri che, anche suo malgrado, ribatte con un bagno di realtà: “Il caso di Venezia è comunque un caso. Tante volte abbiamo vinto pescando nella società civile, ma poi occorre la conferma”. E la conferma è ancora tutta da costruire: anzi, da immaginare.

Ed è l’analisi dei numeri che restituisce in pieno la misura del problema: se si esclude l’apporto delle liste civiche, infatti, la misura e il peso dei due partiti principali del centrodestra inclina allo stallo; con l’aggiunta degli altri vira verso il caos. La Lega, dove è presente, supera di gran lunga Forza Italia quasi dappertutto: ma fuori dal centro-nord è come se non esistesse. Il partito azzurro è assai indebolito: al nord ben di rado raggiunge la doppia cifra – limite psicologico che lo stesso Berlusconi aveva fissato – mentre al centro-sud, salvo qualche exploit soprattutto campano, lo supera di poco. Debole, ma ancora essenziale. Nel Meridione, oltre a Fi, al blocco salviniano si sostituiscono di volta in volta micro blocchi locali: una volta Fitto, un’altra Alfano, un’altra Fratelli d’Italia; insomma, una una geografia da mal di testa.

E’ però partendo dal nord che si disegna l’immagine esatta del perché sia così difficile per Salvini trovare un accordo con Berlusconi. A partire dal Veneto: in tutti i comuni andati a ballottaggio, secondo lo stesso andazzo del voto regionale, la Lega ha preso più del doppio dei voti di Forza Italia. Il partito azzurro sta in una forbice tra il 3 e il 7 per cento, il Carroccio tra il 9 e il 20. La differenza tra i due partiti si riduce per i due comuni piemontesi (a Valenza, la Lega è al 15,25 e Fi al 13,44; a Venaria Reale, 6,7 a 5,67), ma resta valida – con qualche sorpresa – anche per la Lombardia, terra natale dell’ex Cavaliere. Tranne che a Segrate, Mantova e Voghera, dove risulta più forte Forza Italia ma in due casi su tre ha vinto il Pd, è sempre la Lega a prendere più voti.

Pure a Cologno Monzese, sede di Mediaset, la Lega raggiunge il 10 per cento e Forza Italia si ferma all’8,38. Negli altri comuni, complessivamente, il partito azzurro raggiunge le due cifre in cinque comuni su quattordici (miglior risultato a Voghera con il 15,25, peggiore a Bollate, con il 6,13), il Carroccio in dodici su quattordici (peggio risultato a Mantova con l’ 8,8, migliore a Saronno con 23,75). Dunque è chiaro perché Salvini non abbia nessuna voglia di scendere a patti: è troppo forte, per cedere ed annacquarsi. Ma, scendendo nello Stivale, diviene troppo debole per comandare.

Infatti, come è naturale, questa forbice sfuma via via che si viaggia verso sud. Vale ancora, in Emilia Romagna, a Faenza, dove la Lega prende il 15,23 per cento,  mentre Forza Italia  si ferma al 3,89 (per altro in lista con il resto del centrodestra). Barcolla e infine si annulla nei cinque comuni andati a ballottaggio in Toscana e Marche: ma non perché Forza Italia salga, piuttosto perché è la Lega che scende. Ad Arezzo il Carroccio prende l’8,57 mentre Forza Italia il 9,98; a Viareggio l’11,33, quasi pari con Fi che è all’11,18; a Macerata sta al 4,18, mentre Forza Italia è al 7,23.

Lo stato pre-comatoso del partito azzurro ha una scossa nel centrosud, quando Salvini sparisce del tutto dall’orizzonte. In Campania arrivano gli exploit: a Bacoli prende il 24,45,  a Cavano il 15,99, a Marigliano il 23,4, a Terzigno il 22,2. Certo, si tratta complessivamente di poche migliaia di voti, però almeno la soddisfazione di sfondare di nuovo il muro del 20 per cento. A Chieti, in Abruzzo, Forza Italia supera l’11 per cento: è tallonata però dal nuovo centrodestra che prende il 9,12.

Nei tre comuni calabri, pure, supera il 10 per cento. In Puglia i risultati sono altalenanti, e dipendono sostanzialmente dalla collocazione dell’ex azzurro Fitto: ad Altamura, dove vanno divisi, Forza Italia si ferma al 2,5; a Carovigno, dove stanno insieme, schizza al 19,2. Trani rende l’idea di quanto possa essere difficile il gioco della ricomposizione: Fi prende il 4,4 per cento, mezzo punto più di Fratelli d’Italia (4), mezzo in meno di Area Popolare (5), un punto in meno del Nuovo centrodestra (che qui son due cose distinte); se fossero un unico partito, supererebbero il 18 per cento, potrebbero gareggiare col Pd che ha preso il 20. Invece sono quattro formazioni distinte e, come altrove, si è ben lontani dal capire con quali leader e con quali parole d’ordine possano tornare uno. Almeno per tattica, se non per strategia.