Per il Carroccio lo Stato non è più il nemico, ma un volano fondamentale per l'economia del Paese. Altra sorpresa: si punta al sud, alla Sicilia, per l'agricoltura. Nel programma anche gli incentivi alla fonti rinnovabili. Ecco come il leader sfida il governo di Matteo Renzi

Il 20 luglio Matteo Salvini presenterà la svolta «statalista» della Lega Nord. Al congresso federale i due economisti di casa, Claudio Borghi e Giancarlo Giorgetti, avranno il compito di spiegare ai militanti che lo Stato non è più visto come un nemico ma, sorpresa delle sorprese, come un volano fondamentale per l'economia del Paese. Addio quindi ad Adam Smith e alla «mano invisibile» del mercato che aveva stregato Umberto Bossi agli inizi degli anni '90, che viene sostituito con il teorico dell'intervento pubblico in economia: John Maynard Keynes.

Da questi presupposti Matteo Salvini lancia un'offensiva in grande stile al Governo Renzi. «Lo Stato italiano non è affatto virtuoso, ma non c'è nulla che gli impedisca di esserlo. Bisogna trasformarlo» spiega Salvini. «Le economie che sono cresciute grazie all'innovazione, sono quelle dove il pubblico era anche il motore, non solo l'arbitro. Basta guardare alla Cina e agli Stati Uniti. In Italia non solo lo Stato ha frenato la spesa destinata a produrre competenze e ricerca, ma il settore privato è inerte. Dove invece lo Stato spende, anche i privati si impegnano in progetti costosi. Ma non sono solo i tagli delle tasse a liberare gli investimenti. Le società investono quando vedono opportunità. E queste opportunità sono spesso frutto di investimenti pubblici».

Claudio Borghi, economista noeuro che ha aderito immediatamente al nuovo corso salviniano, spiega le proposte che il 20 luglio si confronteranno con quelle più “liberiste” del Presidente di Regione Veneto Luca Zaia. Prima di tutto abbattere le importazioni e riproporre un modello, quello dell'autarchia, che fa tanto Italia anni '30. «L'euro crea squilibrio nella bilancia dei pagamenti perché rende meno competitivi i nostri prodotti» dice Claudio Borghi. «Se c'è squilibrio e non hai sovranità monetaria la differenza tra import ed export la devi colmare con il debito e per metterci una pezza devi fare austerità e infatti grazie a Monti lo squilibrio è rientrato, peccato che tutto ciò comporti recessione, disoccupazione, fallimenti. Per tentare di venirne fuori o quanto meno di contenere l'effetto – prosegue – dobbiamo metterci a produrre beni importati, così la spesa pubblica genera crescita e abbatte il rapporto debito/prodotto interno lordo.»

Il primo intervento dovrebbe riguardare l'agricoltura e qui i leghisti, altra sorpresa, guardano alla Sicilia. «Gli agricoltori del sud, agevolati dal clima, sempre di più stanno scegliendo di produrre avocado, mango, ananas insieme ai tradizionali aranci, limoni e mandarini. Produzioni di frutta eccellente che nulla hanno da invidiare all’originale del sudest asiatico o del centro America e che costano anche il 75% in meno di quella che si trova nella grande distribuzione. Un nuovo mercato su cui investire e creare occupazione che deve trovare la pubblica amministrazione impegnata direttamente o in partnership con gli agricoltori. Ma anche in Liguria dove il pubblico potrebbe recuperare gli uliveti abbandonati con il rilancio dell’occupazione, in una zona fortemente segnata dalla crisi del manifatturiero ed artigianale e dell’agroalimentare. Molti siti dismessi potrebbero essere trasformati in laboratori per la lavorazione e la trasformazione del prodotto».

Ma per i leghisti non ci sono solo l'ananas e l'olio. Guardano anche e soprattutto all'energia. «Sono solo 2629 su 8054 i Comuni italiani autonomi rispetto ai consumi elettrici e solo 79 rispetto a quelli termici grazie alla produzione da fonti rinnovabili» prosegue Borghi. «L'intervento statale dovrebbe sostenere tutti quale miglior esempio di innovazione energetica e ambientale. Ci vogliono investimenti sul medio e breve periodo valorizzando le risorse rinnovabili presenti nei territori con l'obiettivo di ridurre la dipendenza dall'estero e abbattere i costi delle bollette. E serve soprattutto una politica che accompagni le diverse tecnologie che producono energia pulita verso la prospettiva, sempre più vicina, della grid parity rispetto all’energia prodotta dalle centrali termoelettriche. Con scelte intelligenti si può arrivare nel 2020 a 250mila occupati nelle energie pulite e a 600mila nel comparto dell’efficienza e della riqualificazione in edilizia».

Non si tratta, nelle intenzioni di Matteo Salvini, di riprodurre «carrozzoni» statali – cita Luigi Einaudi, «l'impresa pubblica, se non è informata a criteri economici, tende al tipo dell'ospizio di carità» - ma di riposizionare le risorse statali e metterle a disposizioni di Regioni e Comuni, infrangendo il patto di stabilità e creando partneship con il privato. «Penso che il pubblico debba essere capace di fare investimenti anche in aree in cui il privato inizialmente non investe, ma che poi può decidere di valutare con l’emergere di nuove opportunità. Se guardiamo alla Germania, quel Paese cresce anche perché la Kfw, la banca pubblica, finanzia l’innovazione, mentre in Italia la Cassa Depositi e Prestiti non ha alcun ruolo».

Non uno statalismo puro, quello di Salvini, ma un sistema misto che permetta al pubblico di investire in alcune aree affinché il privato possa poi seguirlo a traino investendo di suo, dopo aver compreso di poterne ricavare un profitto. Un modello di sviluppo che presenta numerose analogie con quanto prospettato dall'economista italoamericana Mariana Mazzucato nel suo libro Lo Stato Imprenditore. Contaminazioni varie per un progetto che, nelle intenzioni di Salvini, dovrebbe fare della Lega il perno dell'opposizione a Matteo Renzi.