Illegalità. Cocaina. Discoteche. Lavoro nero. Gli strani traffici che avvengono attorno all'ortomercato di Milano sfiorano anche la politica. Ma il Tar decide di rinviare ogni decisione al 15 aprile. Dopo le elezioni regionali


da Milanomafia.com

Il 3 maggio 2007 si conclude a Milano l'operazione For a King, che porta a termine alcune indagini iniziate tempo prima dalla procura di Reggio Calabria. Vengono sequestrati 250 chilogrammi di cocaina, provenienti dal Sudamerica e destinati a un campeggio di Verbania. Sono tratte in arresto 15 persone: oltre a un agente della polizia annonaria e a una funzionaria della Unicredit finiscono in manette Francesco Pizzinga, Pasquale Modafferi, Antonino Palamara, Francesco Bruzzaniti e Salvatore Morabito. Il primo agosto 2007, in rito abbreviato, il Gup emette condanne fino a 14 anni (13 a Morabito), tutte confermate nella sentenza d'appello del 17 luglio del 2009. Questo è quanto attiene al processo per traffico internazionale di stupefacenti, ora approdato in Cassazione.

Al tempo della pronuncia del Gup, sulla carta stampata si parlò poco del night club, il For a King, appunto, aperto proprio nel cuore del palazzo Sogemi, la società municipalizzata al 99 percento del Comune di Milano, che gestisce l'Ortomercato. Ancora meno si parlò di cene elettorali tra i boss e l'attuale consigliere regionale del Pdl Alessandro Colucci. E mai neppure si ventilò dell'esistenza di tutta una serie di cooperative, raggruppate in un unico consorzio diretto da un imprenditore calabrese.

Proprio questa è la pista che quello stesso processo sta ora seguendo. Pista che, peraltro, spiegherebbe l'origine dei fondi impiegati dal clan di Africo per l'acquisto delle enormi partite di cocaina. E, in questa pista tracciata dal pm Laura Barbeini, il ruolo da protagonista lo gioca Antonio Paolo.

Paolo, ex facchino, ex sindacalista, reinventatosi imprenditore, nell'aprile 2006 inaugura il For a king, night da mille e una notte aperto al piano terra dell'edificio Sogemi. Evento che, per il pm Barbaini, dimostra "la capacità di infiltrazione nelle strutture dell'Ortomercato di Milano da parte di Salvatore Morabito e degli altri uomini della organizzazione criminale". Ma non è tutto qui. Secondo l'accusa, infatti, Antonio Paolo è il fulcro di un complesso sistema di riciclaggio che utilizza l'economia legale per finanziare gli affari illeciti del clan, strategia del tutto inedita nelle manovre con cui fino a ora siamo abituati a veder operare le organizzazioni mafiose. Antonio Paolo, infatti, si reinventa imprenditore di successo. Con la Nuovo Coseli, il consorzio che riunisce molte cooperative, vince appalti multimilionari: la Sda (Poste Italiane), la Dhl, la Tnt: il meglio sul mercato. Nel 2003, però, Paolo si ritrova con 700mila euro di debiti. Alla direzione di Sogemi, dice Felice Isnardi, procuratore generale, in una requisitoria del processo di appello, arriva una lettera a firma dello stesso Paolo "che promette il risanamento dei debiti grazie all'apporto del nuovo socio". Il nuovo socio è proprio Salvatore Morabito, rivale ad Africo di Peppe Morabito, più noto come u tiradrittu. Ma Paolo, a processo, ha sempre negato di sapere che Salvatore Morabito fosse quel Salvatore Morabito, il boss mafioso. Circostanza peraltro smentita dal teste Scatigna, sovrintendente di polizia e legato con Antonio Paolo da rapporti di lavoro: "Scatigna mise in guardia Paolo sul fatto che Morabito era un malavitoso, ma lui disse che lo sapeva".

Ecco, dunque, la ricostruzione fatta dal perito commercialista Gian Antonio Bellavia, incaricato dalla Procura di fare luce sull'intrico di cooperative che lavoravano all'interno dell'Ortomercato di Milano, in base alla quale si comprende come il traffico di droga individuato non fosse che la punta dell'iceberg di una complessa rete di attività finanziarie. Bellavia individua quasi 90 società, al vertice delle quali c'era Nuovo Coseli. Questa vinceva gli appalti milionari con Sda, Dhl, Tnt. Poi li subappaltava a una rete di società di secondo livello che li girava a un risiko di società di terzo livello, che per la maggior parte erano scatole vuote usate come mere cartiere per l'emissione di fatture false che venivano incassate e poi depositate su conti correnti intestati a dei prestanome. Dal 18 aprile al 19 ottobre 2005, per esempio, la New Coop (una delle 90 società) monetizza 530mila euro. In 3 anni di attività si sarebbero ricavati quasi 10 milioni. Tutto denaro che, secondo l'accusa, andava a riempire le casse delle cosche e a finanziare, tra le altre attività, il traffico di stupefacenti. "Questo è il vero riciclaggio" dice la pm Barbaini. "Il denaro sporco entra nelle casse della Nuova Coseli per finanziare operazioni in apparenza pulite. Dopodiché, attraverso i fondi neri, torna a disposizione della cosca".

Su questo sfondo di intensa attività tra cooperative che operano all'interno dell'Ortomercato si inserisce un altro duro lavoro, protrattosi per un anno, e questa volta non negli uffici della Procura, ma dentro l'Ortomercato stesso. Il duro lavoro compiuto in sinergia dal sindacato che opera all'interno del più grande mercato a cielo aperto d'Italia, con a capo Josef Dioli, e da quello che ormai è da considerare l'ex amministratore di Sogemi, Roberto Predolin (il 12 gennaio ha annunciato che passerà a Milano Ristorazione): un bando che limitasse a tre il numero delle cooperative. Tre cooperative pulite, mai pescate per somministrazione illecita di manodopera (uno dei reati contro cui si è sempre battuto Dioli) e che passassero indenni tutte le regolamentazioni antimafia. Firmato il bando, erano stati dichiarati i tre vincitori, che avrebbero dovuto cominciare a operare dalla fine di questo mese.

Se non fosse stato che le cooperative escluse hanno fatto ricorso al Tribunale Amministrativo Regionale. "Niente può far pensare che il Tar accetti il ricorso, non c'è alcun motivo per cui dovrebbe farlo", aveva detto un dipendente di Ortomercato. E qualche giorno prima della pronuncia del Tar, per non sbagliare, Josef Dioli ha ricevuto anche la sua quinta minaccia di morte, una croce con la scritta "Bastardo" sul muro esterno del suo ufficio, per essersi permesso di cercare di fare pulizia in via Lombroso.

Ma Dioli, sembra, può stare tranquillo, poiché il Tar si è pronunciato per una sospensione del provvedimento fino al 15 aprile 2010, dopo le elezioni regionali, cosa che di fatto mantiene le cose come sono, anzi aggravate dalla notizia della "fuoriuscita" di Predolin da Sogemi che, poco prima di lasciare aveva detto: "Bisogna istituire una Commissione di inchiesta sulle illegalità dell'Ortomercato. Noi abbiamo fatto un grande lavoro di controllo e verifica del territorio".

A seguito della decisione del Tar, un dipendente dice amareggiato: "È la fine dell'Ortomercato. Questo è il segnale evidente che niente deve cambiare, qui dentro. Che non c'è la volontà di intervenire sull'illegalità divagante che regola il lavoro. Anche la 'rimozione', perché così io la leggo, di Predolin, è molto preoccupante." E anche Josef Dioli è certo che il responso del Tar sia "una definitiva mazzata alla questione".

Certo è che la notte della pronuncia del Tribunale Amministativo Regionale, all'interno della struttura di via Lombroso non era difficile vedere e sentire un'auto di grossa cilindrata che andava in giro a festeggiare quella che a ben vedere appare come un'amnistia.