Rifondare il sistema, aprendo ai fondi privati per pensioni e sanità. E' il progetto del ministro del Lavoro Maurizio Sacconi

Maurizio Sacconi è un ambizioso di prima grandezza. Il ministro del Lavoro non si accontenta di avere il tavolo ingombro di dossier scottanti, dal profondo rosso dei budget sanitari agli interventi sui fondi pensione. Il socialista del Pdl Sacconi vuol riprogettare tutto il sistema del welfare. Perciò ha presentato nei giorni scorsi un 'libro verde', 'La vita buona nella società attiva', con la sua filosofia del 'bene-essere' sociale. Abbiamo parlato con lui di questa auspicata rivoluzione copernicana.

Perché un libro verde?
"Abbiamo adottato un metodo in uso in altri paesi. Intendiamo aprire una consultazione pubblica, durerà tre mesi, su un'ipotesi di scenario accompagnata da molti interrogativi. Vogliamo che vi partecipino in molti, nel Parlamento e nella società. Pensiamo che il ridisegno del modello sociale sia parte della costituzione materiale del Paese: non quindi una consultazione dettata da generica propensione bipartisan, ma la convinzione che il punto di arrivo, i valori, debbono essere largamente condivisi. Nel gergo della Commissione europea il libro bianco, invece, è un prodotto compiuto, più che domande contiene risposte. Ancora a valle, poi, come governo predisporremo le riforme legislative per transitare dall'attuale al futuro sistema di welfare".

Quali gli assi del cambiamento proposto?
"Puntiamo a un sistema che non sia solo risarcitorio, come l'odierno, ma che rafforzi lungo tutto l'arco della vita la possibilità delle persone di fronteggiare i bisogni. Che quindi agisca sull'autosufficienza delle persone, sulla loro antropologia: è una grande ambizione. La seconda caratteristica del nuovo modello è la sua sostenibilità finanziaria. Oggi paventiamo i pericoli di insostenibilità di un welfare vecchio tanto per i bilanci pubblici quanto per le famiglie, che spesso pagano 'out of pocket', di tasca propria, le emergenze. Basti pensare all'eventualità di dover ingaggiare due badanti per uno o addirittura due genitori anziani. O che si abbia una grave problema oncologico e si debba andare per il mondo alla ricerca della soluzione migliore".

Come ottenere tale equilibrio miracoloso?
"Con una società più attiva, con più occupati che renderanno anche possibile un nuovo apporto delle persone alle spese per i bisogni sociali: una partecipazione organizzata attraverso fondi, mutue, assicurazioni private. Lo Stato ritroverebbe equilibrio per due ragioni. Primo, si allargherebbe la base dei contribuenti. Secondo, si razionalizzerebbero le prestazioni e ridurrebbero i bisogni. Ad esempio si spenderebbe meno per indennità di disoccupazione o altri ammortizzatori sociali".

Pilastro privato per pensioni e sanità; questioni come la sicurezza sul lavoro, la formazione, il ricollocamento, affidate all'intesa tra parti sociali; sviluppo della 'cultura della donazione'. Lei delinea un passaggio dal Welfare State a un Welfare semiprivatizzato o alla cosiddetta economia sociale di mercato di marca tedesca...
"Ci ispiriamo dichiaratamente all'economia sociale di mercato che appartiene a tutta la tradizione europea: le ragioni del mercato si debbono misurare con quelle della persona, della famiglia, della comunità. Questo è tanto più vero ora che siamo impegnati anche a crescere nell'economia della conoscenza, dove conta soprattutto il capitale umano. L'economia sociale di mercato non si limita a distribuire bene la ricchezza, ma sa produrla attraverso un impiego ottimale del capitale umano".

Questa visione teorica risponde soprattutto alla necessità di contenere il deficit pubblico?
"Se ragionassimo solo in termini di bilancio parleremmo esclusivamente di tagli. Non è così: vogliamo riconvertire il modello sociale. Un esempio. Nella sanità ci sono unità ospedaliere marginali che vanno chiuse: non per risparmiare, ma per rendere più efficiente il sistema".

Negli Usa, dove la spesa per la salute è maggiormente a carico dei privati, la spesa sanitaria complessiva, pubblica più privata, in rapporto al Pil, è più alta che da noi. Conviene imitarli?
"Non intendiamo affatto rinunciare a un modello universale. La diffusione dei fondi o delle assicurazioni non persegue l'obiettivo di sostituire prestazioni pubbliche, ma quello di poterne aggiungere altre. Non c'è una linea di privatizzazione".

Nel libro verde si risolleva la questione dell'età minima di pensionamento. Non è controproducente riaprire questo fronte a pochi mesi dall'ennesima riforma? Inoltre si sostiene che l'eccesso di spesa pensionistica penalizzi quella per la salute. Non è piuttosto l'enorme servizio del debito pubblico che comprime entrambe le spese?
"Indubbiamente il servizio del debito è una palla al piede. Ma è un effetto dell'eccesso di spesa. Quanto all'età di pensionamento, non potevamo non porre la questione. L'Italia ha un'anomalia rispetto a tutti gli altri paesi: c'è una spesa sociale troppo squilibrata verso la spesa previdenziale. Bisogna che questa anomala incidenza quantomeno si mantenga stabile".

L'accresciuta vita media tende ad aumentarla.
"Appunto. Dobbiamo chiedeci se è sufficiente la soglia dei 62 anni".

Non basta rivedere i coefficienti di trasformazione previsti dalla riforma Dini e mai aggiornati?
"Dobbiamo verificare se è sufficiente la revisione periodica dei coefficienti. Abbiamo posto degli interrogativi, non ci siamo permessi di dare una risposta. L'importante è che si raggiunga una larga condivisione sul fatto che la spesa deve essere stabilizzata, quanto ai mezzi si può discutere".

Più salute, più occupazione, più competitività, più sostenibilità. Un circolo virtuoso. Ma la competitività non dipende soprattutto da fattori come l'organizzazione e le tecnologie?
"Il paese ha bisogno di aumentare il capitale umano, quello organizzativo e quello tecnologico. Quest'ultimo cresce se crescono i primi due. Altrimenti, se investiamo in tecnologia in contesti organizzativi rigidi e obsoleti e con risorse umane inadeguate, buttiamo i soldi e la tecnologia può avere addirittura un effetto perverso".

Il rapporto auspica un ingresso immediato dei giovani nel mercato del lavoro, fin dagli ultimi anni di studio. In realtà riforme come quella del tre più due nelle università hanno ulteriormente allontanato l'ingresso dei giovani nel lavoro.
"Sì, senza volerlo. L'intenzione condivisibile di Luigi Berlinguer era che con il tre più due molti studenti avrebbero concluso gli studi con il triennio. Purtroppo la gestione corporativa, autoreferenziale, di molti ambienti accademici, ha determinato la frequenza generalizzata del biennio a causa della debolezza del triennio. I percorsi si sono così talmente allungati che i giovani escono mediamente dagli atenei a 28 anni".

E poi si ritrovano precari. Non pensa che spesso gli imprenditori facciano i furbetti, assumano giovani per poi sostituirli con altri, evitando i rapporti a tempo indeterminato?
"Può darsi ci sia qualche furbetto, ma in generale ritengo che nessun imprenditore si farebbe sfuggire una persona di valore. La precarietà può essere accentuata da un'offerta sul mercato del lavoro di giovani con una debole preparazione...".

Peraltro spesso laureati...
"In Scienze della comunicazione, non in ingegneria, matematica o fisica".

Tema ricorrente nel libro verde è la famiglia. Ritiene auspicabile una diversa politica fiscale, centrata sul quoziente familiare?
"Il quoziente è controverso. Penso si debba tornare alle deduzioni che il centrodestra aveva introdotto e il governo Prodi ha sostituito con le detrazioni. Con le deduzioni ci si avvicina all'idea del quoziente, si riconosce al nucleo familiare il peso delle spese per mantenere i componenti a carico abbattendo l'imponibile. Le deduzioni, inoltre, rendevano netto l'imponibile e quindi la base per la tassazione locale. Le detrazioni invece, agendo solo sull'imposta, portano a tassazione locale l'intero imponibile lordo, penalizzando le famiglie numerose".

È soddisfatto dei primi passi della consultazione sul libro verde?
"Sì, i sindacati hanno apprezzato il metodo. Riscontri positivi sono venuti da molte altre parti, dalle Acli al volontariato. C'è voglia di partecipare. Spero di regalare alla costituzione materiale un tassello condiviso per il suo rinnovamento. Con il confronto sul libro verde non finisce la dialettica. Poi le coalizioni si fronteggeranno sulla coerenza tra le politiche quotidiane, condizionate dai vincoli finanziari contingenti, e la visione del modello sociale".