Sul protocollo abbiamo sopportato il ricatto di Dini. Ora basta: bocceremo quello che non ci piace. E difenderemo il bipolarismo contro ogni intesa Veltroni-Berlusconi. Parola di leader comunista.  Colloquio con Oliviero Diliberto

Oliviero Diliberto tira fuori gli artigli. Il leader dei Comunisti italiani li ha tenuti in tasca anche durante le fasi conclusive, per lui amarissime, della partita sul protocollo Welfare. Ma adesso dice basta: non è più disposto a fare sconti al governo. Su nulla. A 'L'espresso' spiega perché il Pdci ha deciso di aprire una fase nuova, addensando nuovi nuvoloni nel cielo già turbolento di Romano Prodi.

Segretario, ammette che la sinistra 'alternativa' è entrata in una fase di gravi difficoltà, stretta da avversari e alleati che hanno ripreso l'iniziativa su riforme, elettorali e costituzionali, che potrebbero ridurne il peso, la capacità d'interdizione?
"Ebbene sì, lo riconosco, siamo in difficoltà. Perché siamo persone perbene e invece dentro la coalizione di maggioranza c'è chi si comporta in maniera scorretta".

Fuori i nomi.
"La vicenda del Welfare è emblematica: abbiamo lavorato in Commissione alla Camera su un testo che non ci piaceva. Ma per elementare senso di lealtà verso il governo abbiamo accettato la logica emendativa. Abbiamo ottenuto degli emendamenti votati da tutta la maggioranza, compresi Udeur, Dini e Di Pietro. Dopodiché Lamberto Dini, dall'alto della torre di Radicofani, novello Ghino di Tacco, ha minacciato: se passano quegli emendamenti faccio cadere il governo. A casa mia questo si chiama ricatto politico. Prodi vi ha ceduto, ha accettato che Dini divenisse di fatto il capo della maggioranza. È lui che determina la politica del governo".

A ricatto, ricatto e mezzo?
"Sfido chiunque a sostenere che noi Comunisti italiani abbiamo mai posto ultimatum. Ma a questo punto si apre una fase nuova. Dopo aver votato un'ennesima volta la fiducia, con molta sofferenza, anche sul Welfare, d'ora in poi su ogni provvedimento vogliamo discutere e se non si troveranno soluzioni per noi accettabili voteremo contro. Prodi non ha avuto il coraggio di sfidare Dini al Senato ponendo la fiducia: è stato stabilito il principio che due senatori valgono più di 150 parlamentari della sinistra. Questo deve finire: chiediamo cose di buonsenso, non la luna: speriamo che in futuro Prodi ascolti noi e non la Confindustria. Altrimenti ne trarremo le conseguenze. Oltretutto nei nostri confronti Prodi ha un debito grande come una casa, stipulato nel '98: nessuno può accusarci di non essere unitari perché parla tutta la nostra storia. Confesso di essermi sentito tradito in questa vicenda. E non ce lo meritavamo".

Nella vostra svolta 'aggressiva' pesano le ipotesi che stanno prendendo piede sulle riforme elettorali e costituzionali? Correte il rischio di essere messi in un angolo o, come ha icasticamente detto Tiziano Treu, "i comunisti sono ormai dei poveri cristi, non vanno da nessuna parte"?
"Per noi in primo piano non ci sono le riforme, ma le questioni di merito che riguardano la vita delle persone: siamo furibondi perché non si è voluta dare una soluzione ragionevole alle legittime esigenze dei lavoratori. Non si è voluto porre un limite temporale agli impieghi a tempo determinato; si è messo un tetto al numero di quanti potranno andare in pensione prima perché 'usurati': se risulteranno più numerosi che si farà, si estrarranno a sorte? Questo ha voluto Dini e, oltretutto, viola l'articolo 3 della Costituzione. Quanto a Treu, per la verità si riferiva a Rifondazione".

Sempre di comunisti parlava...
"Secondo me Rifondazione in tutta la vicenda del Welfare non ha scelto la linea più efficace, lo dico con molto rispetto, il suo atteggiamento non è stato utile: hanno alzato il tiro chiedendo tutto, senza preoccuparsi di portare a casa qualche risultato. Si è rivelato un boomerang. Bisogna riconoscere che anche Rifondazione sta pagando più di altri un prezzo alto per la sua lealtà al governo. Oggi non vedo più i motivi che ci portarono nel '98 alla scissione da Rifondazione quando fece cadere Prodi".

La 'cosa rossa' è anche per questo più vicina? Non credete di dover accelerare il processo unitario a sinistra?
"Evitiamo la parola 'cosa': porta una iella tremenda, a sinistra si è sempre accompagnata a lutti e sciagure. C'è un'esigenza oggettiva di ricomporre le forze di sinistra per pesare di più. Crediamo in un'aggregazione confederativa, dove ciascuno rimane quel che è. Un esempio. Nessuno può chiedermi di fare la Bolognina con 17 anni di ritardo: se sono rimasto comunista per tutti questi anni vuol dire che ci credo. Parimenti non posso chiedere a Fabio Mussi, che nel '91 ha sancito la sua fuoriuscita dal comunismo, di tornare a essere comunista. Ma entrambi possiamo convivere in un soggetto confederativo dove ciascuno continua ad avere il proprio simbolo e la propria identità, ma in un contesto più forte dell'attuale frammentazione. Nella prossima primavera contiamo di sperimentare in qualche elezione amministrativa di peso se questa formula funziona o meno".

Qual è la vostra posizione sulle proposte veltroniane di riforma elettorale e costituzionale? Vi marginalizzano?
"Ho incontrato Veltroni prima del suo confronto con Berlusconi. Sul piano elettorale gli ho detto che, invece di guardare Oltralpe, dovremmo rifarci a un sistema che funziona benissimo: quello delle consultazioni regionali. Garantisce la governabilità e il bipolarismo, le mie due 'bussole', e quindi consente ai cittadini di decidere da chi essere governati, senza lasciare mani libere ai partiti dopo le elezioni, e garantisce la rappresentatività di tutte le forze politiche".

Ma se i partiti maggiori si metteranno d'accordo su un qualche tipo di proporzionale in salsa tedesco-iberica, voi e le altre forze di sinistra non rischiate di rimanere con un palmo di naso?
"Non hanno i numeri per imporre una soluzione di quel genere. La legge elettorale si vota a scrutinio segreto. Sono pronto ad accettare scommesse: se si fa quel tipo di accordo fra il partito di Berlusconi, comunque si chiamerà, e Veltroni, almeno metà del Pd voterà contro, i fedeli del bipolarismo sono molti. Noi non siamo disponibili, An e Udc neppure. Insomma, di qui non si passa: bisogna trovare una soluzione che tenga insieme le esigenze di quasi tutti, non solo dei due più grandi".

Non teme che la ventilata nascita di un terzo 'polo', di centro, vi metta ko?
"Sarebbe un ritorno alla deleteria politica dei due forni. Ci stanno provando, ma ovviamente dipenderà dalla legge elettorale: se rimane il bipolarismo questo disegno fallisce. Se invece si realizzasse, consegneremmo una sorta di 'golden share' al partito neocentrista che, di volta in volta, deciderebbe con chi allearsi: uno scenario agghiacciante".

Se una riforma elettorale non passa per veti incrociati, compreso il vostro, passerà il referendum. È opinione comune che ciò favorirà i partiti maggiori. Non paventate che possa passare proprio da qui un vostro ridimensionamento?
"C'è un piccolo particolare, si fa per dire, che tutti omettono di ricordare: il referendum riguarda solo le elezioni per la Camera, mentre proprio le più discutibili regole per il Senato non cambierebbero. Inevitabile dunque che poi si debba tornare a parlare di una legge di riforma, anche se passa il referendum. Senza contare che l'esito referendario porrebbe enormi problemi di costituzionalità: il primo dei partiti, anche solo con il 25 per cento dei voti, avrebbe la maggioranza assoluta dei seggi a Montecitorio".

La sinistra ha ottenuto da questo governo il superamento dello 'scalone' pensionistico, l'assunzione a tempo indeterminato di molti precari del pubblico impiego, provvidenze per i pensionati poveri, e molto altro che ha comportato una forte lievitazione della spesa pubblica. Perché il vostro bilancio è negativo?
"Abbiamo avuto dei buoni risultati con la Finanziaria. Ma sul protocollo del Welfare, invece, siamo molto insoddisfatti. Nel programma del centrosinistra si parlava di superamento della cosiddetta legge Biagi e dello scalone. Ora ci sono gli scalini, ma l'esito finale è che si va in pensione a 62 anni: davvero troppo per un edile o per chi fa i turni di notte. La faccenda del tetto degli 'usuranti' è davvero dirimente: inviterei i tanti soloni che si affannano su questo tema a salire sull'impalcatura di un palazzo a 60 anni: così, tanto per vedere l'effetto che fa".