Veltroni? Rapporto a prova di bomba. Il nuovo partito? Conquisterà più di un terzo degli elettori. Ridurre i ministri? Io ne volevo 15. A Palazzo Chigi? Fino al termine del mandato. Colloquio con Romano Prodi.

Accerchiato, tormentato, sgambettato da tante, troppe parti. Eppure scopro Romano Prodi tonico, asciutto, di umore buono e molto determinato. Dalla sera di domenica 14 ottobre si trova al fianco un leader di nuovo conio, Walter Veltroni, il numero uno del Partito democratico prossimo venturo. Ma è una presenza che non sembra cambiare la vita e il lavoro del presidente del Consiglio. Sentiamo che cosa ci dice lui.

La vedo accerchiata, presidente.
"Non è un'impressione sbagliata. Però non c'è nulla di nuovo. Era così anche il primo giorno a Palazzo Chigi, dopo il voto dell'aprile 2006. Le cause? Coalizione complessa e ricerca di visibilità. Tuttavia oggi c'è una differenza. La caccia alla visibilità è rimasta molto forte nei partiti della coalizione, ma è diminuita moltissimo nei ministri. Nel governo si è affermata una solidarietà interna molto alta. E il lavoro del Consiglio dei ministri è assai più omogeneo e più semplice".

Resta la babele tra i partiti di centrosinistra.
"Può darsi. Ma la funzione e la forza dei governi democratici è di attrarre nuove energie alla democrazia, cioè di assorbire quella che i politologi anglosassoni chiamano 'le frange lunatiche'. È quel che cerco di fare, suonando sia il violino che il violoncello: due strumenti molto umani".

Dovrà darci dentro con entrambi, presidente. Dopo il trionfo bulgaro di Veltroni, molti dicono che adesso il suo governo è più debole. Anzi, che la nascita del Pd è un salto nel buio per il suo ministero.
"L'aggettivo bulgaro non mi piace. E poi i tanti elettori delle primarie hanno espresso una richiesta di stabilità. Se c'è una logica, io sono più forte, non più debole. È la frammentazione dei partiti che rende più difficile fare una politica lineare e coerente".

Veltroni ha detto che il rapporto con lei è "a prova di bomba". E che sosterrà il suo governo sino al 2011. Lei gli crede?
"Sì. Tanto per la prova di bomba che per il sostegno. È interesse di entrambi raggiungere il 2011 con il governo in piedi e ben saldo. Ma è molto più importante ricordare che Veltroni ed io abbiamo costruito insieme l'Ulivo, che Walter è stato un pilastro del primo governo dell'Ulivo e che la nostra collaborazione e la nostra amicizia sono troppo collaudate per andare in crisi".

Ma il 2011 è lontano.
"Certo, sembra lontano. Ma ho scelto una strategia di governo che se mi ha portato un gradimento molto basso oggi, darà frutti importanti nel futuro. Però ci vuole tempo. E so bene che, lungo il cammino, possono esserci delle sorprese".

Una sorpresa negativa potrebbe venire dai sei senatori centristi che non hanno aderito al Pd: Dini, due suoi colleghi, Bordon, Manzione e Fisichella. Enrico Letta ha detto a 'Omnibus' de La7 che bisogna parlarci, con questi sei.
"Con loro parlo da sempre. E ne ho ricavato un'assoluta coincidenza di posizioni. Loro si fidano di me e io mi fido di loro. Ma è vero che bisogna continuare a parlare con loro. Lo farà anche Veltroni".

Un Veltroni trionfante può essere tentato di sfruttare la vittoria andando a elezioni anticipate?
"L'anticipo del voto lo decide il presidente della Repubblica. E poi si cercano nuove elezioni quando i sondaggi sono favorevoli. Non mi pare che siamo in questo caso".

Se si dovesse votare all'inizio del 2008, quale risultato prevede per il centrosinistra?
"Un risultato cattivo. E aggiungo: 'ovviamente' cattivo. Un paese malato si guarisce con le medicine amare. La terapia l'ho studiata con cura e nel 2011 farà vincere il centrosinistra. Comunque, l'anno prossimo non si andrà a votare. Ne sono sicuro".

Con chi starà Veltroni? Con la sinistra radicale o con i centristi dell'Unione? Pier Ferdinando Casini gli ha chiesto di scegliere, per cominciare a chiarire l'identità del nuovo Pd.
"Veltroni l'ha già detto: non ha altra alternativa che questa coalizione di governo".

Insomma, Veltroni non sceglierà.
"Non è così: Veltroni ha già scelto questa alleanza. Non confondiamo le decisioni con le discussioni. Walter non ha altra via che questa. Altrimenti gli scoppia il sistema in mano. Come scoppierebbe a me se cambiassi coalizione".

D'accordo. Però il 14 ottobre è nato un leader davvero maximo, un imperatore. Veltroni sarà di certo esigente e poco malleabile. La preoccupa questa prospettiva?
"Per niente. Veltroni sarà esigente soprattutto con il suo nuovo partito. Deve costruirlo per intero. E avrà il suo daffare. Un conto è il ruolo di leader. Un altro conto è dare soddisfazione a tutte le voci del Pd".

Spesso si dice che Prodi è un politico della Prima Repubblica. Ma non lo è anche Veltroni? Non mi sembra un politico del tutto nuovo.
"Rispondo per me, non per lui. Certo, Prodi è nato nella Prima Repubblica. Ma è entrato in politica soltanto con la Seconda Repubblica. Vuole la data esatta? Il 2 febbraio 1995. Quel giorno alcuni amici troppo affettuosi e quindi sciagurati, tra i quali Nino Andreatta, fecero il mio nome come possibile candidato premier nella battaglia elettorale dell'anno successivo. Il mio nome ruzzolò, andò in giro. Fu così che mi chiesero se ero disposto a guidare il confronto con Silvio Berlusconi. Risposi di sì. E nel 1996 il centrosinistra vinse".

Veltroni dovrebbe dimettersi subito da sindaco di Roma?
"No. A Roma lui ha costruito una macchina grande e forte che può camminare quasi da sola. Certo, lo aspetta una fatica terribile, perché la gestione del Pd diventerà sempre più assorbente".

Lo penso anch'io. La lotta all'ultimo sangue per le candidature alle primarie ci fa prevedere un Pd diviso in correnti che si combatteranno.
"Ma non esiste un partito senza sfumature o espressioni diverse. Guardi che cosa succede nel Partito Laburista inglese. Nel Pd troveremo una sintesi per non farle diventare correnti organizzate. Veltroni si è già dato questo compito. Gli offrirò il mio aiuto: sono il presidente del Pd, garante di tutti".

Dunque, dal 14 ottobre il Pd ha due capi: Veltroni e lei. Le diarchie, i doppi comandi, non sono fonte di guai?
"I nostri ruoli sono diversi. Bisogna sempre distinguere fra governo e partito. Io guido il governo. E sono il capo di una coalizione che va ben oltre il Pd. E rispondo in modo intero all'alleanza che mi ha eletto".

Oggi i sondaggi parlano di un Pd che ha meno voti di quelli raccolti da Ds e Margherita alle elezioni dell'aprile 2006.
"Ha detto bene: oggi. Quando il Pd è allo stato nascente. La stabilità e la coesione faranno cambiare i sondaggi. Certo, ci vogliono i risultati buoni del governo. Insomma, occorre l'impasto di due farine. Ma sono convinto che il Pd conquisterà almeno un terzo degli elettori. E forse di più".

Per tentare di farcela, Veltroni dovrà agitarsi molto. Ha timore dell'inevitabile movimentismo del suo amico Walter?
"Assolutamente no. Ma non userei la parola movimentismo. Direi piuttosto movimento. Spero che Veltroni ne faccia molto. Abbiamo bisogno di mobilitare molta società, molti cittadini".

Il Pd si propone di riconquistare i ceti medi che hanno abbandonato il centrosinistra, soprattutto nell'Italia del nord. In che modo può riuscirci?
"Il modo è uno solo: fare. Il Nord ha bisogno di cose elementari: sicurezza, infrastrutture e fisco più equo. Per i più raffinati anche un po' di scuole, di ricerca, che per me, nel lungo periodo, sono l'aspetto primario anche al Nord".

Lo scrittore-ombra di Veltroni, il senatore diessino Giorgio Tonini, ha messo nero su bianco la seguente previsione: nel gennaio 2008, dopo l'approvazione della Finanziaria, il Pd chiederà a Prodi "un chiarimento politico e programmatico, che indichi le cose essenziali da fare in modo convinto e disciplinato nei prossimi tre anni. Altrimenti, meglio staccare la spina e tornare a votare". Che ne pensa?
"Che 'staccare la spina' è un'immagine truculenta. Mi stupisce che la usi Tonini, un mite cristiano sociale. Deve averla chiesta in prestito alla destra. Cosa posso rispondere? Che ha perfettamente ragione, purché lui abbia un generatore di riserva, una volta staccata la spina. Se lo ha, ci dica quale è".

Veltroni ha già annunciato che vorrà uno snellimento del governo.
"Questo è un problema mio. E lo specifico così. A) Il governo adesso funziona. B) Ho già ridotto molte spese. C) Io stesso, come tutti sanno, avevo proposto un governo di soli quindici ministri. Oggi sono venticinque. E sa perché? Me lo ricordo bene il giorno che Fassino e Rutelli entrarono nella mia stanza e mi dissero: devi dare nove ministri ai Ds e sei alla Margherita. E il resto è venuto da sé. Quando sarà il momento, provvederò io a ripensare la struttura del governo".

Ma è vero che Fassino diventerà vice-premier, posto che sarà lasciato da D'Alema?
"Fassino si meriterebbe ben di più per le sue doti e per il suo spirito di sacrificio. Ma in questo momento non cambio niente".

Andrebbe fatta subito anche la legge elettorale. Ritiene che sia possibile?
"So benissimo che è un compito molto difficile, nel quale Walter e io dovremo buttarci a capofitto. Ma se non lo affrontiamo, trovando la soluzione giusta, non risolveremo i problemi dell'Italia. Con la stabilità del governo, saremmo il primo paese in Europa".

Ma ha discusso con Veltroni su quale sistema elettorale puntare?
"Walter e io ci siamo già confrontati su questo problema. E sappiamo bene che per varare una nuova legge occorre una maggioranza parlamentare molto ampia. Entrambi non vogliamo abbandonare il bipolarismo. Ovvero l'idea di due coalizioni che si alternano nel governo del paese. Speriamo di farcela. Ma le ribadisco che non sarà un'impresa semplice".

Che cosa può accadere al governo dopo la manifestazione della sinistra radicale a Roma, il sabato 20 ottobre?
"Non accadrà assolutamente niente. In questi ultimi sette giorni abbiamo avuto tre grandi manifestazioni di società civile: il referendum sindacale sul Protocollo del Welfare, la marcia di An per la sicurezza e le primarie per il leader del Pd. Quella della Cosa Rossa sarà la quarta. E non potrà che concludere un ciclo tutto a sostegno del governo".

Anche il corteo di An era a sostegno del governo?
"Sì. E per una ragione molto semplice: che ha saputo offrirci soltanto degli insulti. Dunque, ha giocato a nostro favore, sia pure contro l'intenzione degli organizzatori, perché credo che abbia riscaldato molti simpatizzanti del Pd alla vigilia del voto".

Che cosa farà Berlusconi dopo le primarie del 14 ottobre?
"La domanda giusta dovrebbe essere: che cosa dirà. Bene, continuerà a dire quel che ha sempre detto. Che quindici parlamentari della Margherita passeranno con lui. Che la maggioranza di centrosinistra sta per implodere. Che si andrà subito a nuove elezioni. Che il 98 per cento degli italiani spasima di tornare alle urne per votare compatto Forza Italia. Insomma, seguiterà a dire quello che dice da sedici mesi. E come vede la faccenda non mi preoccupa minimamente".

Posso dirle quello che mi domando sempre più spesso nel vederla alle prese con le difficoltà del governare? Mi domando: ma perché Prodi mostra tanta tenacia nel restare a Palazzo Chigi? Ne vale davvero la pena?
"Le offro due risposte. La prima è che le cose si fanno con tenacia oppure non si fanno. La seconda è che a Palazzo Chigi io ci sto volentieri".

È vero che lei se ne andrà soltanto quando sarà chiaro a tutto il paese che il governo Prodi è stato distrutto dai suoi alleati riottosi?
"Sì, se questa distruzione si manifesterà con un voto parlamentare. Altrimenti no: io rimango qui".

Che cosa succederebbe se il suo governo dovesse cadere, per esempio a causa di un incidente al Senato? Dopo di lei, verrà un governo istituzionale o si andrà subito a votare?
"Quello che potrebbe succedere lo deciderà il presidente della Repubblica".

Accerchiato, però tenace. Da vera testa quadra reggiana. Ma è felice di fare questa vita?
"Purtroppo sì".