La testata tedesca Bild annuncia la sostituzione di operatori dell’informazione con sistemi automatici. Ma dotare la tecnologia di autonomia decisionale è un rischio

L’intelligenza artificiale in redazione. Bild, la testata tedesca simbolo del giornalismo tabloid (una corazzata da 5 milioni di copie giornaliere), ha annunciato nei giorni scorsi una massiccia adozione dell’Ia. La decisione è stata comunicata via mail dalla proprietà (la grande media industry Springer) in nome della sostenibilità economica. Nulla di nuovo sul fronte occidentale (dell’editoria), ma colpisce che la prima rilevante sostituzione professionale di operatori dell’informazione tramite sistemi automatici avvenga dentro il quotidiano più venduto in Europa.

 

Gettando così delle ombre sinistre, in uno scenario nel quale algoritmocrazia e taglio dei bilanci vanno a saldarsi, sul futuro ravvicinato di un settore già sconvolto da un modello di business sempre più affaticato, ma che rimane nondimeno – a maggior ragione nell’epoca della disinformazione permanente – un argine indispensabile per evitare l’ulteriore inquinamento della sfera pubblica. Nell’affermare in modo esplicito che nella sua visione il giornalismo di carta è defunto, il comunicato dell’editore indica che si rinuncerà ai «colleghi che svolgono mansioni che possono essere sostituite dall’intelligenza artificiale e da processi digitali». E si spinge a dichiarare che «non ci saranno più le funzioni di caporedattore, impaginatore, correttore di bozze, segretariato ed editor fotografici come esistono oggi».

 

Se la rivoluzione digitale e la robotica avevano colpito innanzitutto i posti di lavoro dei colletti blu, ecco che l’Ia investe adesso quelli bianchi e le professioni creative. Come mostra anche lo sciopero, in corso da varie settimane, del sindacato degli sceneggiatori di Hollywood (la Writers Guild of America) contro la minaccia dell’«automatizzazione degli script». Le (formidabili) caratteristiche della tecnologia hanno coinciso finora con la capacità di velocizzare e intensificare dal punto di vista quantitativo i processi produttivi coinvolti. Oltre, naturalmente, a consentire una crescente economizzazione e riduzione dei costi.

 

Quest’ultimo aspetto – divenuto sempre più determinante e ossessivo – è quello che pare orientare più di ogni altro anche le scelte di Springer, a dispetto di questioni cruciali e delicatissime come la verifica delle fonti, l’attendibilità delle notizie, il rischio della “verità unica” (quella di chi gestisce l’algoritmo del “redattore artificiale”).

 

Certo, si potrebbe anche dire che a influire su questa riorganizzazione sia la natura del giornale – un tabloid fortemente scandalistico e sensazionalistico – ma il fatto che si annunci un miglioramento del livello qualitativo del giornalismo grazie all’Ia si colloca a metà tra l’excusatio non petita e lo scherzo di dubbio gusto. Per non parlare dell’idea di rimpiazzare la figura del caporedattore: dotare agenti automatici di un’impossibile (e inaccettabile) autonomia decisionale è precisamente quanto non si deve fare. A meno di non voler essere scaraventati in tutto e per tutto dentro Black Mirror. A proposito, l’inventore del serial, Charlie Brooker, ha provato a usare ChatGpt per creare la trama di un episodio e il risultato, proprio a detta sua, è stato un flop. C’è (tanta) materia per riflettere, dunque…