Il reddito dei lavoratori è da fame. Mentre i profitti aumentano. Serve lottare contro un governo di classe

Talvolta le discussioni complicate e volutamente oscure circa la via per migliorare la salute dell’economia italiana sono promosse per nascondere scelte chiare e analisi certe. Qual è la condizione reale in cui si trova l’Italia?

 

Negli ultimi trent’anni, il nostro è il solo Paese europeo nel quale sono diminuiti i redditi dei lavoratori (-2,9 per cento) a fronte di un aumento dei profitti. Si è esteso il lavoro precario, ma anche quello stabile povero (che riguarda circa il 12 per cento dei lavoratori italiani). Molti occupati ricevono un salario insufficiente per vivere. A questo si è aggiunta la povertà diffusa, più consistente rispetto al passato.

 

Si moltiplicano le manifestazioni di lussi sfacciati nei luoghi esclusivi, dove per una cena si possono spendere dai 50 ai 100 mila euro. Il rapporto tra gli stipendi dei manager e dei dipendenti della stessa azienda si è indecentemente squilibrato (oggi lo stipendio di un top manager vale 649 volte quello di un operaio, negli anni Ottanta ne valeva 45).

 

Non si dovrebbero avere dubbi circa le priorità in base alle quali agire. Sorreggere chi non ce la fa e alzare le retribuzioni del lavoro dipendente. È la premessa di ogni programma fondato sulla serietà e sulla giustizia. Anche perché l’inflazione sta mangiando ulteriormente i margini di sussistenza dei cittadini italiani.

 

È interessante l’analisi di Alessandro Plateroti pubblicata su L’Unità lo scorso 6 luglio. Scrive Plateroti: «Mentre gli stipendi sono fermi e il loro potere d’acquisto scende da due anni, gli utili delle imprese non solo sono saliti ben oltre i livelli pre-pandemia, ma rappresentano ora quasi la metà del rialzo del tasso di inflazione [...] L’inflazione nell’area euro ha raggiunto il picco del 10,6 per cento nell’ottobre 2022, quando i costi di importazione sono aumentati dopo l’invasione russa dell’Ucraina e le aziende hanno trasferito questo aumento dei costi direttamente ai consumatori. Da allora l’inflazione è scesa al 5,5 per cento (giugno 2023). Ma ancora corre».

 

Ma gli aumenti necessari nel passato continuano, senza più motivo, a scaricarsi sui consumatori. Nonostante il momento sia favorevole alla ripresa italiana: aumentano il Pil (ormai tornato ai livelli pre-Covid) e le esportazioni (che a loro volta hanno superato ampiamente i livelli pre-Covid) e si registra una ripresa vorticosa del turismo (con dati record per la nostra storia).

 

In questo quadro, il governo ha smontato incoscientemente il reddito di cittadinanza (che ha letteralmente salvato dalla fame un milione di cittadini) e, di fronte alle opposizioni unite, si mette di traverso davanti al salario minimo di 9 euro l’ora, da legare alla contrattazione nazionale. Inoltre: non aggredisce lo scandalo dell’evasione e contesta una netta progressività del fisco.

 

Giustamente fanno clamore i comportamenti di Daniela Santanchè, così come le parole di troppo del presidente del Senato, Ignazio La Russa, a difesa di suo figlio; ma la vera questione che la sinistra ha di fronte è, come vado ripetendo da mesi, il carattere di «classe» dell’esecutivo di destra. È lì che occorre incalzare e concentrare «l’estate militante».

 

Se permangono le insostenibili divaricazioni sociali che ci affliggono, infatti, altro che difesa della nazione e della patria! Come sentiamo dire dal governo. È a rischio la tenuta dell’unità e della democrazia del Paese.