Un coro si è levato in Italia contro la decisione della Banca centrale europea. Ma è ciò che serve, purché non si esageri

Nelle ultime settimane (e probabilmente lo stesso accadrà nelle prossime) si sono levate diverse voci in Italia (tra i politici quelle di Giorgia Meloni, Matteo Salvini, Antonio Tajani) per criticare l’aumento dei tassi di interesse deciso dalla Bce. Lamentele di questo tipo da parte dei politici non sono una novità (si pensi a quello che diceva Donald Trump della banca centrale americana, la Fed), ma vanno comunque considerate seriamente. Due sono le linee di attacco. La prima: aumentare i tassi fa male all’economia e può persino causare una recessione. La seconda: l’inflazione in Europa non è dovuta a un eccesso di domanda, da frenare con aumenti di tassi di interesse (come negli Usa), ma all’aumento dei prezzi dell’energia a livello mondiale che non dipendono certo da quello che fa la Bce. Vi spiego perché non ritengo questi argomenti validi.

 

La prima linea di attacco è più facile da controbattere. È un po’ come quella del bambino, che dice che la medicina è cattiva. Sì, è cattiva. Un aumento dei tassi di interesse frena la domanda e la crescita. E può anche causare una recessione. Ma è il prezzo da pagare per ridurre l’inflazione, che, se diventa persistente, può causare danni economici più elevati.

 

La seconda linea di attacco richiede qualche argomento in più. Occorre prima di tutto capire che una banca centrale deve aumentare i tassi di interesse, quando l’inflazione raggiunge certi livelli, anche se l’inflazione è causata da un aumento dei prezzi delle materie prime internazionali. Questo perché, se l’aumento dell’inflazione si riflette sulle aspettative di inflazione, la remunerazione dei risparmi, al netto di tali aspettative, scende; il che incoraggia un aumento della domanda che alimenta l’inflazione stessa. L’aumento delle aspettative di inflazione può causare anche una rincorsa prezzi-salari, che mantiene alto nel tempo il livello di inflazione.

 

Occorre anche considerare che l’aumento del prezzo delle materie prime che abbiamo visto a partire del 2021 è stato in parte l’effetto di politiche iper-espansive condotte da banche centrali e governi di tutto il mondo. Facciamo un caso concreto. Se la Bce finanzia attraverso l’acquisto di titoli di Stato italiani il bonus 110%, questo fa aumentare la domanda di materie prime che servono a costruire nuovi scaldabagno, a coibentare le case, eccetera. Moltiplicate ciò per tutte le misure espansive prese nel mondo nel 2021 e capite perché i prezzi di tutte le materie prime sono aumentate (non è stato solo il prezzo del gas, per cui esistevano fattori specifici, a crescere). La Bce ha contribuito all’eccesso di domanda che ha gonfiato i prezzi delle materie prime e l’aumento dei tassi deciso dal 2022 è una correzione di tale eccesso.

 

Infine, l’inflazione ha sempre più una componente interna, anche in Europa e non sono negli Usa. L’inflazione di base, cioè al netto dei prezzi energetici e alimentari, resta alta ed è scesa di poco. Cominciano a vedersi aumenti delle retribuzioni anche per i lavoratori dipendenti (per gli autonomi forse i compensi avevano già accelerato l’anno scorso). E il tasso di disoccupazione complessivo, in Italia e in Europa, è sotto la media storica: siamo, in termini di livello, ancora in fase «alta» del ciclo economico.

 

Detto questo, la Bce deve evitare di eccedere nell’aumento dei tassi. Per ora le critiche sono infondate. Per ulteriori aumenti significativi mi lascerebbero perplesso.