Gli istituti di credito rivedano la tendenza alle grandi concentrazioni. Conferendo autonomia alle filiali. Perché la relazione con il cliente e la disponibilità di servizi qualificati contano

La trasformazione che il sistema economico affronta pone alle imprese una complessa rivisitazione della produzione, della finanza, della distribuzione e della commercializzazione. Data la portata del cambiamento, viene da chiedersi se l’operatività delle banche, realizzata negli ultimi trent’anni, sia ancora valida.

 

Le concentrazioni bancarie hanno rafforzato la solidità del sistema creditizio. Tale processo è stato indotto dalla privatizzazione delle banche pubbliche (legge Amato 1990), dal nuovo testo unico in materia bancaria (1993), dall’ingresso dell’Italia nell’Unione monetaria europea e dalla crisi fiscale dello Stato del 2012/2013 per l’esplosione dei prestiti inesigibili dovuta alla diminuzione del 10% del Pil. In “Modern banking” (Oxford: Clarendon Press, 1964) Richard Sidney Sayers sostiene che la banca sia grande e patrimonializzata.

 

Il modello organizzativo della «banca universale» (tuttofare), dopo la grande riforma, ha centralizzato le decisioni, superando quello della «banca commerciale», basato su autonomia decisionale e decentramento delle funzioni. Con il modello precedente, i finanziamenti degli investimenti delle Pmi erano gestiti dai Mediocrediti regionali, non dotati di sportelli territoriali, che operavano in stretta dipendenza con la banca di riferimento. La filiale era lo snodo nel rapporto tra la banca e il cliente.

 

Le nuove sfide sul mercato mondiale, dovute alle tecnologie innovative, richiedono il superamento della frammentazione produttiva. Le imprese di minore dimensione dovranno diventare più grandi e quelle medie ingrandirsi ancora. Una simile svolta suppone il cambiamento della relazione banca-cliente. Il piccolo imprenditore, ma anche quello medio, per affrontare nuove strategie deve sentire alle proprie spalle la banca. La relazione interpersonale dà fiducia. Il rating (giudizio di affidabilità del cliente) non infonde la stessa fiducia del rapporto interpersonale. Un rapporto che non si fonda sulla vicinanza fisica dello sportello all’impresa, dato che le banche stanno accentrando le filiali con chiusure per ridurre i costi fissi, ma che richiede la riattivazione della funzione tipica della banca di prossimità nella relazione con il cliente, senza ritornare alla banca locale.

 

Il modello della «banca universale di prossimità» si caratterizza per lo stretto legame tra le filiali e i centri imprese specializzati, in modo da accompagnare il cliente a realizzare i propri progetti, grazie a un’ampia gamma di servizi qualificati. Ciò implica, da un lato, di conferire ai direttori delle filiali e ai responsabili dei centri imprese territoriali autonomia decisionale e ruolo funzionale, quali strutture autorizzate alla concessione di finanza alle Pmi, e, dall’altro, di elevarne la professionalità, unitamente all’assunzione di responsabilità.

 

L’efficienza e l’efficacia del rapporto banca-impresa sono vita o morte dell’economia di mercato. Le filiali e i centri imprese territoriali non possono esaurire il loro compito, come accade oggi, nel trasmettere le pratiche a organismi centrali, che non conoscono personalmente il cliente, per le decisioni deputate. Le autonomie decisionali e il decentramento di funzioni delegate ai direttori delle filiali e ai responsabili dei centri imprese territoriali della banca universale di prossimità non sono un di più. Sono l’essenza della relazione che ci vorrebbe, basata sul doppio rischio dell’imprenditore e del banchiere.