La tv pubblica esiste in tutti i Paesi europei, ma leggi e prassi garantiscono indipendenza. In Italia non è così. Allora sarebbe meglio che lo Stato non la gestisse più e subentrasse la libera concorrenza

Credo che siamo l’unico Paese avanzato dove, quando arriva un nuovo governo, si cambiano i vertici della televisione pubblica, i direttori dei Tg, i conduttori dei principali programmi televisivi. I media, mi correggo, i giornali (perché la Tv pubblica ovviamente ne parla molto meno) commentano questi cambi, ma l’opinione pubblica non sembra essere interessata più di tanto. Lo si considera normale, ma non lo è.

 

Il governo Meloni, dopo qualche mese di attesa, si sta ora muovendo rapidamente. Si parla di epurazione. Ma la destra sostiene che lo stesso è accaduto in passato, che la sinistra aveva piazzato i propri rappresentanti nei posti chiave, che quanto viene fatto non è altro che un riequilibrio di una situazione squilibrata. Non mi sembra sia così: si sta andando oltre a quanto visto in passato. Fra l’altro in precedenti occasioni, quando il centrodestra era al governo almeno si consentiva un’influenza dell’opposizione su una delle tre reti pubbliche, tradizionalmente Rai 3. Non è più così. Aggiungo che lo spostamento a destra della Tv pubblica rende ancora più anomala la situazione delle nostre Tv private, controllate da uno dei principali esponenti della destra.

 

Ma sono punti di vista, impressioni. Quel che invece è certo è che in Italia, un Paese avanzato, non una repubblica delle banane, l’influenza dei fattori politici sulle reti televisive è molto pesante. Una televisione pubblica esiste in tutti gli altri Paesi europei, ma le leggi e la prassi garantiscono una sostanziale indipendenza della Tv pubblica dalle pressioni politiche. L’autorevolezza della Bbc a livello mondiale conferma questa indipendenza al di là delle polemiche che di tanto in tanto emergono (compreso di recente). Ma da noi le garanzie di indipendenza non funzionano e le polemiche sono non occasionali, ma costanti e riguardano dirigenti, giornalisti e conduttori, una estensione sconosciuta negli altri Paesi.

 

Queste garanzie andrebbero rinforzate, ma occorre almeno considerare un’ipotesi più drastica: privatizzare la Rai. Dopo tutto, al di là delle motivazioni storiche, perché lo Stato deve gestire una televisione? Si potrà dire che fornire informazione è un servizio pubblico. Ma allora perché gli altri media (giornali e social) sono privati? Perché allora non avere un giornale di Stato? Perché non un social di Stato? In termini di capacità produttiva, che vantaggio ha lo Stato, rispetto ai privati, nel gestire una televisione? Quale interesse strategico esiste per lo Stato nel gestire tre canali televisivi nazionali, al di là dell’ovvio interesse politico nel trasmettere informazioni e idee in linea con gli interessi del governo? Una privatizzazione della Rai dovrebbe essere accompagnata da norme per realizzare un’effettiva concorrenza tra privati: la concorrenza tra diversi operatori è presidio essenziale perché il privato possa fornire un servizio televisivo non distorto da interessi di parte.

 

Probabilmente sto parlando al vento, un’altra «predica inutile» per dirla con Luigi Einaudi. Sì perché quale governo sarebbe tanto lungimirante da rinunciare al vantaggio di breve periodo derivante dal gestire tre reti nazionali per liberare la televisione dal controllo di interessi politici? Non lo hanno fatto i governi passati e certo non lo farà questo governo. Per cui, avanti così. E ci tocca pure pagare il canone.