Dopo un’impronta iniziale, il partito di Silvio Berlusconi fu meno liberale e più vicino alla Dc. Per questo molti dei calcoli politici che vengono fatti oggi sono sbagliati

La scomparsa di Berlusconi ha reso più immediata la questione di dove finiranno i voti di Forza Italia, certo non più quelli degli anni d’oro del partito, ma pur sempre rilevanti. Se lo domanda, in particolare quell’area liberaldemocratica che nelle ultime elezioni ha fatto riferimento al Terzo Polo e, in parte, a +Europa. Molti esponenti di quest’area pensano di essere gli eredi naturali dei voti degli elettori, di centro e liberali, che erano finora rimasti fedeli a Berlusconi. Ma è una speranza legittima?

 

Non c’è dubbio che Forza Italia, al suo nascere, avesse una forte matrice liberaldemocratica. Basta guardare alla composizione della compagine del primo governo Berlusconi, a partire dal suo ministro del Tesoro, Lamberto Dini. Quel governo, che durò solo sette mesi, oltre a tentare un prima grande riforma delle pensioni (abbandonata poi temporaneamente e realizzata solo dal successivo governo Dini) presentò una legge di bilancio per il 1995 (approvata nonostante la caduta del governo) che realizzò il più forte taglio della spesa pubblica mai visto in Italia: la spesa primaria (cioè al netto degli interessi) calò in un anno di diversi punti percentuali, il che consentì non solo di ridurre il deficit pubblico, ma anche la pressione fiscale in misura consistente. Insomma, una politica di impronta liberale: meno spese, meno tasse, meno deficit.

 

Di stampo diverso fu la politica del secondo e terzo governo Berlusconi, durante i quali la spesa primaria aumentò di un paio di punti percentuali, soprattutto a causa di un aumento dell’occupazione pubblica e dei salari dei dipendenti pubblici fortemente voluti dall’allora vicepresidente del Consiglio Fini (che su questo si scontrò col ministro dell’Economia Tremonti, più propenso a una conduzione più cauta dei conti pubblici). La pressione fiscale restò praticamente invariata tra il 2001 e il 2006. Il deficit pubblico non scese (nonostante il calo dei tassi e della spesa per interessi dopo l’entrata nell’euro) e il debito pubblico calò solo di pochi punti percentuali.

 

La mia impressione è che col tempo in Forza Italia, delle due ispirazioni che inizialmente diedero impulso alla sua creazione, la prima liberale, la seconda genericamente anti-comunista e anti-sinistra, abbia via via prevalso la seconda: insomma, Forza Italia diventò una nuova Democrazia Cristiana, un grande partito popolare che contrastava sì la sinistra post-comunista, ma che non rifletteva gli ideali liberaldemocratici che l’avevano inizialmente ispirato.

 

Se questa interpretazione è valida, i voti di Forza Italia resteranno nell’attuale compagine di governo. Poco confluirà nell’area liberaldemocratica di Azione, Italia Viva e +Europa. Il che ha un’immediata implicazione per questi tre partiti. Se vogliono essere certi di portare al Parlamento Europeo qualche loro rappresentante dopo le elezioni del giugno 2024, dato lo sbarramento al 4%, dovranno presentarsi in una qualche forma di federazione, meglio se comprendente tutti e tre, sperando magari in tal modo di arrivare o almeno a sfiorare il 10%. Viste le recenti vicende, una tale federazione sembrerebbe dover affrontare un sentiero in salita. Ma dodici mesi sono tanti e le attuali difficoltà dovranno essere superate. È almeno un secolo che l’area liberaldemocratica è divisa nel nostro Paese. Mi sembra un po’ troppo.