Il giornalista e il fondatore di Forza Italia non si sono mai amati. Ma durante il primo governo Conte si sentirono un’ultima volta

Che cosa si fossero detti in quella telefonata Eugenio Scalfari e Silvio Berlusconi, nessuno dei due purtroppo lo può più raccontare. «Non ci parliamo da almeno vent’anni», mi disse un giorno del 2018 Scalfari aggiungendo che si sarebbero presto risentiti, dopo tutto quel tempo. Di Berlusconi era il più fiero oppositore. L’aveva combattuto fin dal primo giorno della famosa discesa in campo. Sempre ripagato, anche a colpi di querele. Basta ricordare come accolse in una intervista all’Espresso la sua vittoria elettorale del 1994: «Con Berlusconi si torna a Luigi XIV, quando ancora non esisteva la distinzione fra il tesoro del re e quello dello stato».

 

Ma in quell’anno assurdo del primo governo Conte si era convinto che fosse l’unica vera spina nel fianco del delirio gialloverde. Non aveva affatto cambiato idea sull’uomo; era una pura valutazione politica: «Nel centrodestra Berlusconi è il più lucido, il solo che può mettere un freno alle follie di Matteo Salvini».

 

E per un giornalista, perché Scalfari questo era, valeva di sicuro una telefonata. La cosa avrebbe scandalizzato qualcuno. Magari gli stessi che non avevano digerito la sua riposta di un anno prima alla domanda di Giovanni Floris, su chi avrebbe scelto come premier fra Luigi Di Maio e il Cavaliere: «Sceglierei Berlusconi… Entrambi populisti, ma il populismo del secondo ha perlomeno una sua sostanza…» Quando Scalfari è morto, nel luglio 2022, Berlusconi ha commentato: «È stato una figura di riferimento per i miei avversari in politica. Ma non posso non riconoscergli di essere stato un grande direttore e giornalista».