Gli atenei e le scuole di tutto il mondo sono in lotta per contrastare il cambiamento climatico: più di 60 occupazioni in un mese. Quella dell’università Sapienza, a Roma, è stata una delle più longeve

End Fossil è una campagna internazionale che inizia a farsi sentire nell'autunno del 2022, con più di 50 occupazioni in tutto il mondo. Nata a Lisbona, nell'estate del 2022, si espande anche grazie ai numerosi campeggi per la giustizia climatica in giro per l’Europa, facilitando la contaminazione e la radicalizzazione dei movimenti territoriali e globali. Iniziano così le occupazioni di atenei in molte parti d’Europa, ma anche negli Stati Uniti, in Colombia, Uganda, Zambia e Repubblica Democratica del Congo.

 

La mobilitazione di maggio, “May We Occupy,” ha lanciato un nuovo appello alle scuole e università con lo scopo di occupare i luoghi di formazione, per porre fine all'era dei combustibili fossili, coinvolgendo più di 60 università e istituti scolastici in tutto il mondo.

 

L’occupazione dei luoghi del sapere vuole risvegliare la società tutta e chiederne la mobilitazione con lo scopo di, secondo le possibilità, disturbare, bloccare, interrompere e/o sabotare l'economia fossile nelle strade, nelle piazze, negli uffici, nelle sedi e nelle infrastrutture. L’occupazione dell’Università di Roma La Sapienza, di due settimane, è stata una delle più longeve, è ha avuto il ruolo di costruire, in Italia, un luogo fisico, pubblico e attraversabile, di discussione reale.

 

Nella notte del 5 giugno, ad anticipare il corteo cittadino romano, è apparsa una scritta ai piedi della statua della Minerva: “La Sapienza è tornare al verde”. Nei giorni precedenti, la rettrice Polimeni aveva parlato di libertà di ricerca, ma risulta difficile immaginare che, così vicini ad un punto di non ritorno, si possa ancora parlare della “libertà” di destinare un Pianeta intero allo sfollamento e alla morte.

 

Infatti, tra le istanze principali c’è quella di non rinnovare gli accordi, le convenzioni e i progetti di ricerca con aziende legate all’economia fossile e adoperarsi affinché il governo aumenti il Fondo di finanziamento ordinario, in modo che la ricerca abbia finanziamenti indipendenti. Questo non può certamente avvenire senza una forte ed esplicita presa di posizione da parte degli atenei rispetto alle responsabilità ambientali e sociali delle aziende fossili; le università dovrebbero prendere una posizione netta di non collaborazione con le aziende che contribuiscono al collasso eco-climatico. Occupazioni universitarie come quella di Barcellona, dove tutte le richieste studentesche sono state accolte, hanno anche ottenuto un corso obbligatorio, interclasse, sulla crisi ecologica e sociale.

 

Mentre aspettiamo l’inizio dell’assemblea e siamo sul prato circondati da tende, si parla già della prossima ondata di lotta in autunno: il movimento non si ferma. In questo momento storico, i luoghi di sapere non possono che essere fucine di cambiamenti reali, radicali e collettivi: l’università deve avere il coraggio di posizionarsi e riacquisire un ruolo all’interno dei processi politici.

 

La stretta connessione tra la salute degli esseri umani, animali, e dell’ambiente è talmente acclarata che non è più immaginabile non riconoscere la nostra interdipendenza e un necessario mutuo appoggio. In questa ottica le Università, luoghi di cultura e conoscenza interdisciplinare, sono le organizzazioni pubbliche che più e meglio di altre, dovrebbero essere in prima linea nella guerra contro le forze economiche e politiche indifferenti se non complici del collasso eco-climatico.