«In Europa si è persa un’occasione per distinguersi da una politica priva di qualsiasi autonomia. Sarà meglio rimediare nel prossimo voto»

La guerra in Ucraina continua ad avere un andamento drammatico. Tra qualche timido spiraglio e un’accelerazione senza precedenti dell’utilizzo dei più devastanti armamenti. Invano Papa Francesco invoca la pace. Difficile appare anche la missione del Cardinal Zuppi; uomo di straordinaria umanità e fede. L’Europa continua ad essere sostanzialmente assente. Indebolita nella sua volontà di integrazione, condizionata dagli Stati nazionalistici e sovranisti, disciplinata da un atlantismo ferreo che non dà spazio ad alcuna autonomia. Quella autonomia che, invece, nella classe dirigente italiana è stata spesso esercitata. Da Andreotti a Craxi.

 

Questa dinamica pare rafforzarsi con il voto del Parlamento Europeo, favorevole a concedere la possibilità per gli Stati membri di destinare i fondi del Pnrr alla produzione di munizioni. È giusto e necessario aiutare, anche con gli armamenti, la difesa del popolo ucraino dall’aggressione di Putin. Naturalmente, sviluppando parallelamente un’azione diplomatica per arrivare almeno a una tregua. Sapendo che la pace, se la si vuole veramente, comporta un compromesso. Giusto: ma un compromesso. Il segnale che ha dato l’approvazione della risoluzione del Parlamento Europeo va, tuttavia, in una direzione sbagliata. Decide alcune azioni da condividere, ma contiene un segnale avvelenato che non potrà che avere conseguenze negative.

 

Riassumo: indebolisce il piano di rinnovamento economico, formativo e ambientalista (Pnrr); enfatizza la necessità di armarci ancora di più, quando i fondi già destinati alla difesa sarebbero sufficienti; favorisce i paesi dell’Europa che hanno un disegno nazionalistico e un animo bellicista. Il gruppo socialista e democratico ha presentato degli emendamenti per espungere dalla risoluzione gli aspetti più critici. Gli emendamenti proposti, come era prevedibile, sono stati respinti. Alla fine, con eccezioni e malumori, la risoluzione è stata votata anche dal gruppo dei socialisti e democratici. E alla fine dalla delegazione del Pd (tranne Massimiliano Smeriglio, che ha votato contro e Camilla Laureti, Achille Variati, Franco Roberti e Pietro Bartolo che si sono astenuti).

 

È una posizione che non convince. La sinistra europea ha perso l’occasione per distinguersi su un tema decisivo. E anche l’idea che, intanto il Pd sposterà la battaglia nel Parlamento italiano (per precludere nel nostro Paese la possibilità dell’utilizzo di questi fondi, coerentemente a ciò che ha detto Elly Schlein) appare debole. Nel Parlamento Europeo ci si deve esprimere in un’ottica di sovranità continentale, non rimandando a quella nazionale. E poi, così facendo, il dominus della decisione sarà la premier Giorgia Meloni. Il ministro Crosetto ha dichiarato che il governo italiano non si avvarrà della facoltà che gli concede l’Europa.

 

Ma le situazioni cambiano; e affidarsi alla parola altrui, quando gli orientamenti dell’attuale governo italiano non sono lontani da quelli della parte più recalcitrante al progetto europeo di integrazione, non mi pare un atteggiamento che possa rassicurare. Tra un mese circa ci sarà un secondo voto sull’argomento. Credo che in quella sede la sinistra europea dovrebbe correggere. E, comunque, dovrebbe correggere il Pd, come ha annunciato con coraggio Brando Benifei capogruppo della delegazione, se dal governo italiano non saranno stati assunti in modo formale impegni chiari.