«Nel partito convivono tre anime che combattono tra loro. E la questione del merito ne è un esempio»

Ho da poco lasciato il Senato e, con esso, il gruppo a cui ero iscritto, quello del Pd. Pur da indipendente, ne ho osservato dall’interno le dinamiche e, alla luce di tale osservazione, mi pongo una (brutale) domanda: il progetto del Pd, nella sua attuale forma, è ancora valido?

 

Il progetto, riflesso nel Manifesto dei valori del febbraio 2008, era quello di creare un partico a «vocazione maggioritaria», cioè in grado di vincere le elezioni attraverso la coesistenza al suo interno di tre anime: quella degli ex Pci (il ritratto di Gramsci appare ancora negli uffici Pd al Senato), quella dei cattolici di centro-sinistra e quella dei liberal-democratici che non si riconoscevano nel centrodestra berlusconiano. Come nel caso del partito democratico americano, si pensava di tenere insieme diverse anime, ritenendolo necessario per vincere visto il sistema elettorale maggioritario.

 

Dal 2008, però, le anime del Pd più che amalgamarsi si sono combattute. Il risultato è stato che le critiche più feroci in caso di sconfitte elettorali sono spesso venute dal suo interno, alimentando una narrativa negativa anche in caso di risultati non catastrofici, come successo per le scorse politiche, dove il Pd ha mantenuto le posizioni del 2018, e le recenti comunali, dove i capoluoghi che hanno cambiato colore sono stati solo due, mentre il Pd ha preso Vicenza e diversi grossi centri in Lombardia e tenuto la più grande città al voto (Brescia).

 

La difficoltà di convivenza tra le diverse anime del Pd è evidenziata dal contrasto palese tra il Manifesto dei valori del 2008 e il Manifesto del nuovo Pd del gennaio 2023. Il secondo è molto più a sinistra del primo, che però, per non scontentare nessuno, non è stato cancellato. Restano due manifesti in contrasto l’uno con l’altro su questioni chiave.

 

Una di queste è il ruolo che il merito deve avere nella società. Premiare il merito significa differenziare, accettare disuguaglianze nei punti di arrivo. L’enfasi sul merito era palese nel documento del 2008 che diceva: «Noi vogliamo una società aperta che consideri le persone in base alle loro qualità, rimuovendo gli ostacoli economici e sociali, e premiando il merito e non i privilegi». In quello del 2023 la parola «merito» non appare mai, mentre si enfatizza la lotta a «tutte le diseguaglianze». E la mozione a supporto di Schlein al congresso include un solo riferimento al merito: occorre contrastare «la retorica del merito che, in assenza di pari opportunità, moltiplica e acuisce le disuguaglianze». Perché non enfatizzare, invece, come nel 2008 l’importanza di creare uguali opportunità?

 

L’ipotesi che va considerata allora è se le tre anime del Pd possano rimanere alla lunga nello stesso partito o se, invece, questa convivenza non porti a un messaggio incerto che, alla fine, spinge gli elettori a votare per altri o a starsene a casa. Dalla sua nascita, il Pd ha ridotto la propria percentuale di voti nelle elezioni politiche dal 33% del 2008, al 25% del 2013, al 19% del 2018 e del 2022. Forse il prezzo che il Pd di Schlein, spostato a sinistra, dovrà pagare per trasmettere un messaggio più chiaro, è quello di perdere la componente liberal-democratica. Alla fine potrebbe esserci un guadagno netto per tutti, anche per i liberaldemocratici. In ultima analisi agli elettori piacciono messaggi chiari.