Il governo vuole tassare gli extra-profitti. E così legittima il salasso operato sui piccoli depositi

Il primo trimestre di quest’anno segna risultati record per le banche. I ricavi di sei importanti banche italiane registrano un incremento del 16 per cento, contro un aumento pari a zero dei costi. Rispetto al precedente trimestre, l’utile netto passa da 1.738 miliardi di euro a 5.041 miliardi di euro, più 190 per cento.

 

Il risultato è attribuibile alla crescita del 55 per cento del margine di interesse, grazie ai rialzi dei tassi di interesse da parte della Bce. È aumentata la forbice tra il costo dei prestiti a tasso di interesse variabile e quello della provvista finanziaria, lasciando invariata la remunerazione dei depositi della clientela.

 

Tale andamento è un fattore comune per tutte le banche del sistema. Una manna piovuta dal cielo, ma sulla pelle dei risparmiatori. È stata applicata una sorta di automatismo monodirezionale che accresce inopinatamente la profittabilità.

 

È singolare che ci sia un gran silenzio intorno a un automatismo che allarga la forbice tra il costo dei prestiti e quello della provvista finanziaria. La logica vorrebbe che gli sbalzi dell’Euribor, la pietra di riferimento dei tassi dei prestiti, provocassero un pari automatismo nella remunerazione di chi deposita i risparmi per consentire alle banche di lavorare. Uno strabismo che fa rimpiangere la spirale prezzi-salari.

 

Questo meccanismo penalizza milioni di piccoli risparmiatori, i cui depositi non assommano mai a cifre significative. I grandi depositanti, invece, difficilmente seguono il comportamento della massa. Trasformano le somme depositate in investimenti finanziari alternativi, che rendono quattro o cinque volte di più di quello che la banca paga al risparmiatore «fedele per forza».

 

Negli ultimi sei mesi, non casualmente, 90 miliardi di euro di somme depositate hanno preso un’altra strada. Una piccola parte di esse sarà stata anche utilizzata per tamponare le falle causate dall’inflazione per acquistare il medesimo paniere della spesa. La maggior parte delle somme, diversamente, ha preso un’altra via. È il mercato.

 

È strano, tuttavia, che si assista a un plauso compiacente sui trionfali risultati delle banche dell’esercizio passato e su quelli del primo trimestre 2023. È strano, altresì, che gli occhi della suprema vigilanza (Bce) e della Banca d’Italia siano strabici nei confronti di un fenomeno noto.

 

Non si tratta di extra-profitti, come nel caso delle imprese che hanno sfruttato la guerra del gas e del petrolio. La richiesta di tassare gli extra-profitti delle banche del ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, non tiene conto della beffa subita dai risparmiatori. La presidente della Bce, Christine Lagarde, invece auspica: «Se crescono i tassi di interesse, le banche dovrebbero aumentare la remunerazione dei depositi», lasciando libere le parti di provvedere come se avessero la stessa capacità contrattuale.

 

Dato che il deposito bancario è disciplinato dal Codice civile (artt. 1834-1837), parrebbe opportuno che il governo emanasse un decreto legge che integri gli articoli citati, prevedendo l’adeguamento della remunerazione dei depositi a risparmio – come per i mutui a tasso di interesse variabile – a ogni variazione dei tassi di interesse decisa dalla Bce. La solidità delle banche sta a cuore a tutti. Non a queste condizioni, però.