La burocrazia ministeriale boccia tutte le proposte avanzate in Parlamento per recuperare il loro voto. Ma poi ci si lamenta dell’astensionismo

Nel Paese dei paradossi succede che di giorno ci si strappi le vesti per la deriva astensionista e di notte si decida di scoraggiare, come se fossero marginali, 5 milioni di elettori. Parliamo del travagliato voto dei fuorisede, ovvero di coloro che studiano o lavorano fuori dalla città o dalla provincia di residenza. Un esercito che rappresenta il 10 per cento della platea elettorale ed è costretto a spostamenti da via crucis, su e giù per il Paese. Di questi, almeno 1.860.000 impiegano da 4 a più di 12 ore per raggiungere il seggio di appartenenza e tornare al proprio domicilio. È un flusso che investe soprattutto il Sud, da cui proviene la stragrande maggioranza. Conto salato per le casse dello Stato: se l’anno scorso appena 280 mila elettori hanno ottenuto le agevolazioni di viaggio con una spesa pubblica di 8 milioni 123 mila euro, figuriamoci se vi ricorresse l’intera platea dei condannati ai “viaggi forzati” per il voto.

 

Ebbene, anche per i prossimi turni elettorali cambierà poco o nulla, lasciandoci così in Europa in compagnia di Cipro e Malta. Salvo poi tuonare in tv e sui giornali contro il 36% di astensione alle politiche o del 44% alle europee. Un’onda che sa di protesta e disaffezione alla politica ma spesso è espressione solo di un problema logistico con banale soluzione: far votare i fuorisede nei luoghi in cui studiano o lavorano, garantendo così pienamente un diritto costituzionale senza smorzare la passione civile che non è morta, nonostante la penalizzazione da eterni migranti. Gli strumenti li suggeriscono alcune proposte di legge in commissione Affari Costituzionali della Camera, facendo tesoro del “Libro bianco sull’astensione” realizzato, per il governo Draghi, dagli esperti guidati da Franco Bassanini. Si va dalla possibilità per i fuorisede di votare con le schede della città in cui si trovano, come avviene per militari e forze dell’ordine (pragmatica proposta Magi-Della Vedova), al cosiddetto “voto anticipato presidiato”, in cabine elettorali allestite qualche giorno prima negli uffici postali, comunali o circoscrizionali, attraverso un “election pass”: un certificato elettorale digitale, simile a quello scaricabile per il green pass Covid (proposta Madia).

 

Il voto verrebbe spedito in busta al seggio naturale per essere scrutinato in tempo. Semplice? Nient’affatto per il funzionario del Viminale che ha smontato in commissione, una per una, le proposte perché troppo complicate per la macchina burocratica (!) o poco sicure (il voto elettronico ha ancora delle falle). Così, il minuscolo passo avanti che verrà fuori dall’aula di Montecitorio - salvo sorprese - riguarderà la possibilità di votare fuori dal comune di residenza solo per i referendum o alle europee, purché nella stessa circoscrizione (casi limitati), e qualche agevolazione per i disabili. Cassate tutte le altre proposte dell’opposizione, che promette barricate, ci si avvia al contentino che avrà il sì del centrodestra.

 

Difficile accettare che al tempo dell’Intelligenza Artificiale non si riesca a fare di più. Soprattutto mentre si continua ad adottare proprio il sistema del voto postale per gli italiani all’estero, spesso al centro di brogli e scandali. Finiamola, dunque, di etichettare questi 5 milioni di cittadini come “astensionisti involontari” e chiamiamoli con il loro nome: elettori di serie B.