«Il pericolo è che sia forte coi deboli e debole coi forti, o che si lasci influenzare da fattori politici»

Quando uscirà questo pezzo forse la Commissione Europea avrà già pubblicato le nuove regole sui conti pubblici che vincoleranno i Paesi dell’Unione dal prossimo anno. Al momento, c’è ancora disaccordo su un aspetto (vedi sotto), ma la sostanza non cambierà molto e vale la pena di commentarli fin d’ora.

 

Faccio un passo indietro. La crisi che colpì l’area dell’euro dal 2010 al 2012 portò all’introduzione di un meccanismo di sostegno ai Paesi in crisi, l’ormai celebre Mes (Meccanismo europeo di stabilità).

 

Per la prima volta i Paesi dell’euro si indebitavano insieme per sostenere Paesi in difficoltà. In cambio di questa solidarietà, le regole sui conti pubblici venivano strette. Veniva introdotta una miriade di parametri numerici sulla velocità di riduzione del debito e del deficit pubblico.

 

Un sistema così complicato si rivelò però poco efficace: la complicazione diede infatti l’opportunità di trovare scappatoie per non ridurre il debito. Per l’Italia, questo rimase invariato al 135% del Pil fino al 2019, senza che neppure iniziasse mai una procedura di infrazione.

 

Con la riforma si passa da un sistema pieno di parametri numerici uguali per tutti a un processo di aggiustamento “su misura”. Nella sostanza, l’unica regola che resta è il tetto del 3% del Pil sul deficit pubblico. I Paesi membri con un debito superiore al 60% del Pil si siedono poi a un tavolo con la Commissione europea e concordano un piano di rientro del debito focalizzato sul raggiungimento di un certo livello di avanzo primario entro 4 anni (7 se il Paese intraprende riforme e investimenti; l’avanzo primario, ricordo, è la differenza tra entrate e spesa pubblica escluso quella per interessi: sono le risorse che servono a ridurre il debito pubblico).

 

Raggiunto tale livello, il Paese procede poi col pilota automatico: il livello concordato di avanzo primario va mantenuto finché il debito è sceso al 60% (il che potrebbe richiedere diversi decenni). Né il livello dell’avanzo primario obiettivo, né la velocità di convergenza a quell’obiettivo è predefinita: tutto va discusso con la Commissione.

 

Questo lascia un’enorme discrezionalità nelle mani dei «burocrati di Bruxelles», come li chiama qualcuno. In teoria, le loro scelte saranno guidate dall’insieme di strumenti analitici che vanno sotto il nome di Debt sustainability analysis.

 

Quando ero al Fondo monetario fui tra quelli che contribuirono allo sviluppo di questi strumenti. Vi assicuro: è più arte che scienza. Utilissimi strumenti, ma lasciano spazio a un margine elevato di interpretazione. La Germania e i suoi alleati stanno insistendo per introdurre una regola che imponga una riduzione annuale minima del rapporto tra debito pubblico e Pil in modo da contenere il potere discrezionale della Commissione, di cui i tedeschi non si fidano. Vedremo come finirà.

 

Resta comunque un fatto: il nuovo approccio lascerà comunque ampi margini di discrezionalità alla Commissione, con il rischio che questa sia forte coi deboli e debole coi forti, o che si lasci influenzare da fattori politici contingenti nel condurre le negoziazioni sul piano di rientro, l’opposto di quello che un sistema di regole sui conti pubblici dovrebbe assicurare.