Tanti sperano che l’uso dell’Ia possa aumentare la produttività del lavoro facendoci faticare meno. Ma i dati su quanto successo negli ultimi anni vanno in tutt’altra direzione

Non passa giorno che non si parli di intelligenza artificiale (Ia). I riferimenti a questa sono diventati standard persino nei testi di leggi, attribuendo il governo a essa capacità taumaturgiche in vari campi, dalla lotta all’evasione fiscale alla gestione dei sussidi alle imprese. Cresce la speranza che l’Ia porti a un aumento della produttività del lavoro, consentendoci di faticare meno. Cresce in parallelo la paura che l’Ia causi disoccupazione. In realtà niente di nuovo. Da decenni le varie tappe nello sviluppo dell’Information and Communication Tecnology (Ict) sono state accompagnate da speranze e paure legate all’aumento della produttività che da esso deriverebbe. Eppure l’ultimo ventennio è stato caratterizzato da un rallentamento, non da un’accelerazione, della produttività.

 

Diversi lavori hanno esplorato questo fenomeno, tra cui quelli di Robert Gordon, uno dei principali economisti americani. Gordon ricostruisce il tasso di crescita della produttività negli Stati Uniti dal 1880 a oggi. Il periodo d’oro è stato il cinquantennio 1920-70, con tassi di crescita medi del 2 per cento l’anno. Poi il tasso è sceso, raggiungendo un minimo dello 0,4 per cento dopo il 2004.

 

Diverse interpretazioni sono state date a questo rallentamento della produttività. I cantori delle magnifiche sorti e progressive legate all’Ict hanno sostenuto che il rallentamento sia solo apparente: gli istituti statistici non riuscirebbero a misurare la migliore qualità dei prodotti legata all’Ict. Ma problemi di misurazione di questo tipo hanno sempre accompagnato lo sviluppo tecnologico negli ultimi due secoli. La spiegazione più probabile, quella sostenuta dallo stesso Gordon, è invece che, per quanto mirabolanti ci appaiano gli effetti dell’introduzione dei computer, della robotica, di’Internet, eccetera, gli sviluppi scientifici e tecnologici degli ultimi decenni sono poca cosa rispetto a quelli avvenuti a cavallo del XIX e XX secolo, giunti a fruizione nel cinquantennio seguente.

 

Basta citare la scoperta delle onde elettromagnetiche, l’uso dell’elettricità a livello industriale e civile, il motore a combustione interna, l’estensione delle reti idriche, gli sviluppi della chimica, la capacità di manipolare le molecole, l’invenzione di ascensori, macchine utensili, elettrodomestici, radio, televisori, telefoni, biciclette, automobili, aerei, apparecchi di riscaldamento e refrigerazione. E poi fondamentali rivoluzioni scientifiche, come la teoria della relatività e la meccanica quantistica, con la possibilità di alterare l’atomo e sviluppare l’energia nucleare. Il progresso tecnologico è stato notevole anche negli ultimi due o tre decenni, ma la nostra vita non è stata sconvolta come quella di chi era nato nell’ultimo quarto del XIX secolo.

 

Certo forse il meglio deve ancora venire, forse l’Ia cambierà il paradigma del progresso tecnologico perché consentirà alle macchine di creare nuove idee, non solo di rendere più veloce l’azione umana, aprendo lo spazio a scenari a cui la serie Terminator (insieme ad altre) ci ha abituato. Ma è per ora un dato di fatto che l’impatto sulla produttività dell’Ict (e altri sviluppi tecnologici degli ultimi decenni) sono stati modesti, almeno rispetto a quelli del cinquantennio d’oro e, forse, alle nostre aspettative, portando qualcuno a sostenere che il futuro non sia più quello di una volta.