Una delle ragioni per cui il tasso di occupazione è in salita è la forte crescita dell’inflazione

I dati sull’occupazione pubblicati pochi giorni fa sono ancora una volta positivi. L’occupazione continua a crescere, facendo nascere la speranza che i problemi del mercato del lavoro in Italia, per quanto ancora seri, siano in via di soluzione. È proprio così?

 

La crescita occupazionale ha ormai superato la fase di rimbalzo post Covid. La tendenza alla crescita dell’occupazione dopo lo shock Covid, che si era attenuata nel terzo trimestre del 2022, ha ripreso con vigore e l’occupazione (ora a 23,3 milioni di unità) ha ora superato il picco raggiunto nel secondo trimestre del 2019. Il tasso di disoccupazione è sceso al 7,8%, il livello più basso dal 2008. Il tasso di occupazione (occupati per persone in età lavorativa) ora sfiora il 61%, un record per un Paese come l’Italia dove pochi storicamente lavorano, soprattutto tra le donne. Questo recupero di occupazione è coerente anche col ritorno del nostro Pil, al netto dell’inflazione, su livelli vicini al massimo raggiunto nel 2007: nel 2023 saremmo solo del 2% sotto quel livello.

 

Ma è una tendenza permanente o temporanea? A essere ottimisti, si può pensare che stiamo vedendo già gli effetti del Pnrr, un piano rivolto alla crescita di occupazione e reddito. Ma sono passati meno di due anni dall’inizio del piano e sappiamo anche che i ritardi di implementazione sono tanti. Un’altra ipotesi è che le imprese, nonostante gli interventi di controriforma (Decreto Dignità), ora percepiscano il Jobs Act come permanente, facilitando le assunzioni. I sondaggi delle imprese pre-jobs act suggerivano però che la regolamentazione più stretta del mercato del lavoro non fosse il principale ostacolo alla crescita economica in Italia.

 

La questione dovrebbe essere esplorata meglio e sono certo che l’imminente Relazione della Banca d’Italia getterà luce su questo tema. Un’ipotesi però dovrebbe essere considerata da vicino, ossia che l’aumento dell’occupazione, soprattutto negli ultimi mesi, sia l’effetto, temporaneo, dell’aumento dell’inflazione, in particolare della sua componente interna, via via preponderante rispetto al totale.

 

La teoria economica ci dice che una sorpresa inflazionistica, tagliando i salari reali e facendo salire i profitti, induce le imprese ad assumere di più. I lavoratori, colpiti nell’immediato da illusione monetaria (cioè non rendendosi conto dell’effetto reale dell’aumento dei prezzi) da un lato sarebbero disposti a lavorare per retribuzioni più basse in termini di potere d’acquisto, dall’altro manterrebbero alti i loro consumi, riducendo il risparmio. Questo meccanismo non funziona se l’inflazione è importata, ma col passare del tempo la nostra inflazione ha sempre più una componente domestica. Negli ultimi mesi, in particolare, i profitti delle imprese potrebbero essere saliti (molti parlano di rincorsa prezzi-profitti più che di rincorsa prezzi-salari).

 

Se fosse così, allora questa fase di aumento dell’occupazione verrebbe a esaurirsi via via che i lavoratori aggiustano la propria percezione del costo della vita e le proprie aspettative di inflazione. I prossimi rinnovi contrattuali porterebbero i margini di profitto su livelli più normali, e la spinta alle assunzioni vigorose che hanno caratterizzato gli ultimi mesi si esaurirebbe. Quindi, un po’ di pazienza prima di concludere che le tendenze occupazionali in atto continueranno.