Da oltre un anno è atteso il lancio della piattaforma digitale. Ma l’esecutivo dice che è stata affidata al ministero della Giustizia e spuntano nuovi ritardi

Pochi giorni fa a Montecitorio è andata in scena una rappresentazione surreale. Il governo era chiamato a rispondere a una interpellanza urgente del deputato Riccardo Magi, segretario di +Europa, sulle ragioni del blocco della attivazione della piattaforma per la raccolta delle firme digitali per i referendum e per i progetti di legge di iniziativa popolare, previsti dagli articoli 75 e 138, 71 della Costituzione.

 

La sottosegretaria all’Interno Wanda Ferro ha ribadito quanto già affermato dal sottosegretario Alessio Butti, titolare della delega all’Innovazione tecnologica: responsabile sarebbe il ministero della Giustizia. Infatti il governo oggi dice che nel 2021 era stata realizzata «nei tempi previsti» una versione consona della piattaforma, completando il test di applicazione.

 

Ripercorriamo allora la vicenda. La legge n. 178, che nasce nel dicembre 2020 (modificata dal decreto legge del maggio 2021, n. 77), istituiva un fondo apposito per la raccolta delle firme digitali. Il 9 settembre 2022 un altro decreto stabiliva caratteristiche e modalità di funzionamento. Brutalmente si può dire che con Mario Draghi e con il ministro Vittorio Colao tutto procedeva correttamente per garantire l’esercizio di un diritto legato alla tanto sventolata accelerazione e snellimento delle procedure indicate dal Piano nazionale di ripresa e resilienza.

 

Ora il governo Meloni confessa di avere «da tempo» avviato le necessarie interlocuzioni con il ministero della Giustizia, finalizzate a definire una collaborazione tesa a far sì che sia quest’ultimo a prendere in carico la gestione. In conclusione, desolatamente, viene prospettato un ritardo di altri 4-5 mesi rispetto a quello già enorme e inspiegabile di più di un anno.

 

La crisi della democrazia e della partecipazione dei cittadini alle elezioni sono di una evidenza accecante e la fiducia nelle istituzioni tende ad azzerarsi. D’altronde se lo Stato, il governo e addirittura il ministero della Giustizia boicottano una legge per rendere i cittadini protagonisti, come potrebbe essere diversamente? Forse è proprio questo l’obiettivo, difendere il potere che è stato conquistato grazie a una legge truffa e rendere il Parlamento un’aula sorda e grigia.

 

Siamo di fronte a una eterogenesi dei fini sesquipedale: un ministro della Giustizia, Carlo Nordio, che si proclamava liberale e garantista, sta inanellando una serie di provvedimenti liberticidi, dal decreto anti-rave a quello anti-scafisti, dalla proclamazione dello stato etico e totalitario nel caso Cospito fino ad assistere inerte alle proposte della galera per i bambini delle madri detenute, alla cancellazione del reato di tortura e per lo stravolgimento dell’art. 27 della Costituzione.

 

Ebbene, siamo a un punto decisivo. Lo straordinario successo della raccolta delle firme per un referendum sulla legalizzazione della canapa rappresentò la dimostrazione che il cambiamento era possibile. Ci volle la decisione tartufesca della Corte Costituzionale guidata da Giuliano Amato nel febbraio 2022 per impedire la rivoluzione gentile.

 

Che fare? Un assedio nonviolento in via Arenula, per cominciare. L’obiettivo è semplice: dare la parola ai cittadini e farli decidere sui diritti, in nome della ragione e sconfiggendo l’arroganza.