Meno figli e genitori: per rialzare il tasso di fertilità, in altri Paesi hanno funzionato asili e congedi

In Italia si nasce sempre di meno. Nel 2022 i nati sono stati 393 mila, il minimo di sempre. La popolazione è scesa sotto i 59 milioni. Si potrà dire, come faceva Arbore, che «meno siamo, meglio stiamo». Ma sorgono diversi problemi. Cerchiamo di capirli meglio, con una premessa: non aspettatevi facili soluzioni. Non ce ne sono.

 

Primo: il fenomeno non è nuovo. Il tasso di fertilità (numero medio di figli per donna) scese da 2,5 alla fine degli anni ’60 a 1,4 a metà degli anni ’80. Da allora il tasso ha oscillato tra 1,2 e 1,4 (ora siamo a 1,24). Perché allora il numero dei nati continua a scendere? Perché, se vent’anni fa c’erano meno nati, dopo vent’anni ci sono meno genitori. L’effetto del calo delle nascite si cumula nel tempo.

 

Secondo: si può cercare di rialzare il tasso di fertilità con politiche di spesa pubblica. Quelle che hanno funzionato meglio in altri Paesi sono la disponibilità di asili nido e la generosità dei congedi parentali. Negli anni ’80 e ancora negli anni 2000 la Svezia è riuscita a riportare il tasso di fertilità da 1,5-1,6 a 2. Ma, si tratta di uno dei casi di maggior successo. Nella media dei vari Paesi, l’impatto della spesa pubblica è più contenuto. In ogni caso, non conosco nessun Paese che sia riuscito a riportare il tasso di fertilità da 1,2 a 2, cosa necessaria per stabilizzare la popolazione. Certo, si potrebbero tentare rimedi più drastici. Augusto, tra le altre cose, aveva ristretto la partecipazione agli spettacoli circensi agli aristocratici che non avevano figli. Si potrebbe tentare la stessa cosa per lo Stadio Olimpico o San Siro…

 

Terzo, il basso tasso di fertilità degli ultimi quarant’anni è stato compensato dall’aumento dell’aspettativa di vita e dall’immigrazione. Ma queste forze non sono ora più sufficienti: da nove anni la popolazione cala in continuazione. Inoltre, resta il problema dell’aumento dell’età media della popolazione, che di per sé ha effetti economici negativi.

 

Passiamo ora proprio agli effetti del crollo delle nascite. Finché il tasso di fertilità resta sotto 2, in assenza di immigrazione, ogni anno il numero di quelli che vanno in pensione è superiore a quello dei nuovi entranti. Questo vuol dire, per esempio, che se 10 medici vanno in pensione, sono rimpiazzati solo da 5 medici. Non sono numeri a caso: al momento stanno andando in pensione le coorti nate negli anni ’60 che alla nascita avevano 900mila unità e sono rimpiazzate da coorti grandi poco più della metà. La conseguenza è che diventa difficile trovare persone che si prendono cura degli anziani e che pagano le loro pensioni. Inoltre, studi empirici dimostrano che in Paesi dove la popolazione è più anziana il tasso di crescita della produttività, da cui dipende il nostro reddito pro capite medio, è più basso di quello dei Paesi in cui la popolazione è più giovane.

 

Che fare? Come ho detto, niente illusioni. Oltre a spendere di più per la natalità (ma dobbiamo allora anche dire dove vogliamo spendere meno e non possiamo essere irrealistici rispetto ai risultati; vedi sopra), non resta che una politica di immigrazione regolare, da non confondere col traffico degli scafisti che abbiamo imparato a conoscere. Ma anche questa soluzione non è facile perché richiede anche una buona politica di integrazione e il superamento di tante barriere culturali che non vanno sottovalutate.