Che non si limita a prestare denaro a imprese e famiglie ma, sempre più, specula direttamente in operazioni rischiosissime che non offrono alcun beneficio allo sviluppo economico e sociale. Cosa aspettano le autorità monetarie a porre un freno?

I buchi neri non finiscono di sorprendere. Passato il Covid, nel mezzo di una guerra in cui non si vede nemmeno il cessate il fuoco, non poteva mancare il dissesto di alcune banche in tre importanti Paesi dell’Occidente. Unitamente ai crolli e alle risalite degli indici di Borsa, ciò instilla una nuova ansia che impensierisce, e non di poco, i risparmiatori. E non solo essi. È un’altra volta in gioco la fiducia nei riguardi del perno del sistema capitalistico, la banca che vive sulla fiducia. Senza la farina non si fa il pane. Lo stesso per il credito. Senza il risparmio finanziario (i depositi bancari dei privati) non si erogano prestiti alle imprese e alle famiglie.

Ci si scervella nel cercare di capire la ragione dei crolli prima della Silicon Valley Bank negli Usa, poi del Credit Suisse in Svizzera e, ora, le difficoltà della Deutsche Bank in Germania. Nonostante l’impegno profuso dai telegiornali e dalla stampa, resta molto difficile farsi un’idea sul perché succedano simili sconquassi.

A poco valgono le rassicurazioni sia del presidente americano Joe Biden sia del cancelliere tedesco Olaf Scholz sia dei presidenti della Federal Reserve negli Stati Uniti e della Banca Centrale Europea. Siamo di fronte allo sballo di operazioni finanziarie strutturate sofisticatissime, soprattutto con i cosiddetti derivati: strumenti finanziari che, per natura, avrebbero dovuto servire a coprire il rischio della variabilità dei tassi d’interesse per i sottoscrittori di prestiti a tasso d’interesse variabile o quello delle valute.

La banca, quale intermediario creditizio e finanziario, dovrebbe avere lo scopo di allocare il risparmio finanziario dalle unità in surplus (i risparmiatori) alle unità in deficit (imprese e famiglie). La commissione dovrebbe essere commisurata al servizio reso, più il premio al rischio dell’operazione, maggiore per le imprese suscettibili di dissesti che non per le famiglie, i cui prestiti, di norma, sono destinati all’acquisto della casa. La commissione di intermediazione, tuttavia, non potrà mai assicurare – data la concorrenza tra banche – una profittabilità pari a quella delle imprese manifatturiere, non potendo vivere di «invenzioni di prodotto, né di innovazione del ciclo produttivo, né di nuove combinazioni produttive» (Joseph Schumpeter).

Ed ecco che nasce il tarlo. Il banchiere, per aumentare la profittabilità in favore degli azionisti e dei manager, esce dall’ambito del servizio di intermediazione, per entrare in quello dell’investimento diretto in imprese o in operazioni finanziarie strutturate di altissima rischiosità.

Di fronte all’evoluzione dell’attività del banchiere, oltre che all’elevata raffinatezza e complessità degli strumenti finanziari, si rivelano vani i controlli pur evoluti e stringenti (stress test o altri similari) delle autorità di vigilanza sulla solidità del sistema bancario. I fatti smentiscono la possibilità di prevenire simili misfatti.

Data l’assoluta ininfluenza nello sviluppo economico e sociale di queste operazioni finanziarie strutturate di elevata ingegnerizzazione e di rischio indeterminabile, c’è chi si domanda cosa aspettino le autorità monetarie dell’Occidente a rinserrarle in un circuito parallelo, in cui chi vince o chi perde procura guadagni o danni solo a sé stesso.