Nel Ventennio gli “spalloni”, per soldi, conducevano in Svizzera tanti antifascisti, oltre a molti ebrei a rischio di deportazione (clamorosa la vicenda di Liliana Segre), militari e disertori. Ma nessuno li ha mai dipinti come criminali dediti alla tratta di esseri umani e trafficanti

Nel 1968 uscì il libro delle lettere dal carcere di Ernesto Rossi con il titolo “Elogio della galera”. È proverbiale l’ironia tagliente dell’allievo di Salvemini, ma in questo caso la scelta di una espressione così paradossale ricorda l’Elogio della ghigliottina di Piero Gobetti. Il carcere come scuola di intransigenza e di dignità.

 

Ernesto Rossi uscì da Regina Coeli pochi giorni dopo la caduta del fascismo il 25 luglio del 1943 e subito si recò a Firenze e poi a Milano e Bergamo e infine a Torino. L’8 settembre lo vede parlare alla folla di Bergamo dopo tredici anni dall’arresto in quella città. Le condizioni di salute assai precarie lo costrinsero a passare in Svizzera.

 

Non fu il solo a rifugiarsi nella terra d’asilo per antonomasia, lo fecero tanti antifascisti come Cipriano Facchinetti, Giulio e Luigi Einaudi, Altiero Spinelli, Adriano Olivetti, Umberto Terracini, Ernesto Treccani oltre a molti ebrei a rischio di deportazione (clamorosa la vicenda di Liliana Segre), militari, disertori e renitenti alla chiamata alle armi della Repubblica Sociale di Salò. Le ricerche storiche parlano di 5.000 civili e ventimila militari.

 

E questa umanità disperata e terrorizzata come poteva superare la frontiera? Solo con l’aiuto dei contrabbandieri che conoscevano i sentieri tra i boschi per sfuggire ai controlli e ovviamente venivano pagate cospicue cifre. Ernesto Rossi entra clandestinamente in Ticino e racconta: «La discesa sul versante svizzero fu disastrosa, perché sbagliammo strada e dovemmo scendere, di notte, per un burrone sotto l’acqua e la grandine»; Ada Rossi raggiunse Ernesto il 29 settembre e descrisse la sua fuga rocambolesca con queste parole: «Misi un po’ di roba in un sacco da montagna, e poi andai a Lanzo, ma vi giunsi quando già vi erano i tedeschi. Mi accordai con un contrabbandiere che mi accompagnò per qualche tratto poi mi lasciò sola. Credevo di essere già in Svizzera quando sentii parlare in tedesco. Ricomparve il contrabbandiere e mi chiese altro denaro: gli detti tutto quello che avevo».

 

Le autorità del Canton Ticino non accoglievano tutti i profughi, venivano privilegiati gli ex prigionieri di guerra alleati rispetto ai renitenti alla leva, e gli ebrei subivano trattamenti ostili legati a malcelato antisemitismo. Vi erano campi di internamento e pratiche di respingimento e espulsioni. L’aiuto dei contrabbandieri dopo il rafforzamento della presenza di fascisti e tedeschi, come guide era essenziale. Addirittura il Comitato di liberazione nazionale assoldava i contrabbandieri a tariffe fisse per l’assistenza, dall’altra parte la Rsi valutò la possibilità di deportare le famiglie degli spalloni come ritorsione. Il numero di soggetti impegnati viene stimato intorno al migliaio. In alcuni casi vi furono richieste esose di denaro soprattutto verso gli ebrei.

 

Nessuno si è mai sognato di dipingere questi uomini come criminali dediti alla tratta di esseri umani e trafficanti. La strage di Cutro oltre all’insulto delle parole ciniche del ministro Piantedosi contro le madri afghane, ha prodotto un decreto legge che annuncia la persecuzione degli scafisti nell’intero globo terracqueo (sic!) e pene fino a trent’anni. Demagogia e propaganda nel silenzio assordante del ministro Nordio.