Non si può derubricare il fatto come un mero incidente di percorso. Ma il sistema bancario internazionale al momento appare solido

Son tornate a fallire le banche. O, meglio, è fallita una banca americana, la Silicon Valley Bank (Svb), e questo è bastato perché tornasse all’orizzonte lo spettro di una nuova crisi finanziaria globale, un quindicennio dopo la crisi iniziata col fallimento di Bear Stearns nel marzo 2008 e Lehman Brothers sei mesi dopo. Quanto ci dobbiamo preoccupare?

 

Ci sono buone notizie. Le riforme introdotte dopo il 2008 hanno rafforzato il sistema finanziario. Primo, le banche hanno aumentato il proprio capitale rispetto alle risorse prese a prestito e il famigerato “effetto leva” (investire quasi interamente con soldi presi a prestito) è stato ridotto. Secondo, anche i vincoli di liquidità sono stati rafforzati: se i cuscinetti di liquidità sono più alti, il rischio di fallire per mancanza di soldi è più basso. Terzo, sono aumentati i controlli delle autorità di supervisione, anche attraverso i cosiddetti stress test, in cui si simula cosa accade al bilancio di una banca se aumentano i tassi di interesse o se arriva una recessione e le banche che non superano i test devono ricapitalizzarsi. Infine, si sono rafforzate le procedure di intervento in caso, nonostante tutto, una banca fallisca.

 

Ci sono però anche notizie meno rassicuranti. Dopo la crisi del 2008 l’approccio alla regolazione finanziaria non è cambiato in modo fondamentale rispetto a quello iniziato con le liberalizzazioni degli anni ’80 e ’90: le banche possono fare quello che vogliono purché abbiano sufficienti cuscinetti di liquidità e di capitale. C’è chi avrebbe voluto proibizioni più drastiche: certe cose non si possono fare, punto e basta. Era l’essenza della Volcker Rule (dal nome dell’ex presidente della Fed, la banca centrale americana), regola introdotta nel 2010, ma poi drasticamente diluita. Insomma, è come se un genitore, dopo che il figlio è caduto dall’albero, invece di dire «smettila di salire», dicesse «puoi salire purché ti sia adeguatamente protetto». La questione allora è se le protezioni sono adeguate. In proposito restano fattori di rischio. Primo, il debito globale, pubblico e privato, è sui massimi storici: dal 195% del Pil mondiale nel 2007 è salito al 247% nel 2021. Il debito non è un problema quando i tassi di interesse sono bassi, ma ora i tassi sono saliti. Secondo, il sistema finanziario resta molto complicato e una parte (il cosiddetto shadow banking) è poco regolamentato. Terzo, il miglioramento della supervisione finanziaria nei Paesi avanzati non si è esteso a molti Paesi emergenti. Quarto, rimane irrisolto il problema delle grandi banche che, se fallissero, causerebbero uno tsunami di proporzioni mai viste.

 

In conclusione, il sistema finanziario si è certamente rafforzato dal 2008, reggendo bene alla recessione del Covid, peraltro breve grazie al dispiego di enormi risorse pubbliche. Ma il test che deve ora essere affrontato è quello di un mondo in cui i tassi di interesse non sono più zero o quasi. Non drammatizzerei troppo la questione: la liquidità del sistema è ancor ampia e i tassi di interesse, seppur più alti, sono ancora negativi al netto dell’inflazione. Ma il fallimento di Svb non può essere trattato come un mero incidente di percorso, anche perché la crisi del 2008 fu preceduta proprio da un forte aumento dei tassi di interesse. Qualche rischio c’è.