Il nostro Paese deve gestire i flussi e usarli per colmare il calo della popolazione: è questo il vero banco di prova per il governo e l’intera classe politica

La pubblicazione dell’Onu sullo stato della popolazione mondiale (World Population Prospects 2022: summary of results) attesta che, nei prossimi dieci anni, i Paesi con alto benessere dovranno fare i conti con la diminuzione strutturale degli abitanti dovuta alla bassa natalità. Fenomeno che potrà essere superato con l’immigrazione e facendo diventare la natalità e la famiglia di interesse generale.

 

La questione dell’immigrazione vale ancora di più per l’Italia perché siamo il Paese con la natalità più bassa in Europa e perché, a livello mondiale, si registra il più basso numero medio di figli per donna. La gestione dell’immigrazione non si esaurisce bloccando gli sbarchi, ma si estende all’aumento degli immigrati che dovremmo ricevere.

 

Infatti, dall’inizio del 2019 fino al 31 ottobre 2022 (dati Istat), la popolazione in Italia è diminuita di 950 mila unità. La diminuzione sarebbe stata di 1,6 milioni senza gli immigrati. Per mantenere lo stesso numero di abitanti il saldo migratorio avrebbe dovuto essere di 250 mila unità all’anno e non di 100 mila unità, come registrato negli ultimi quattro anni.

 

L’immigrazione, pertanto, assume per il nostro Paese un duplice volto da affrontare con politiche e iniziative diametralmente opposte.

 

Il primo aspetto riguarda chi scappa dalla guerra e dalla fame. E la soluzione non potrà essere trovata con i provvedimenti attuali, ma premendo con forza in sede europea per risolvere la questione dei flussi e ora anche di quelli che arriveranno dalle zone terremotate tra Turchia e Siria. Aspetto che non si limita solo al Mediterraneo, ma coinvolge, in modo molto più numeroso, le rotte via terra dei Balcani, della Grecia, della Turchia e della Siria.

 

Il secondo fronte riguarda la costruzione e la gestione di adeguati flussi migratori, funzionali a colmare il vuoto che si è creato e continua a crescere con la diminuzione della popolazione per la bassa natalità. Circostanza che riduce progressivamente la forza lavoro e le entrate dell’Inps per pagare le pensioni.

 

È su questo terreno che si misurerà la capacità del governo e della classe politica di trattare una questione dalle mille facce, la quale richiede una notevole abilità d’interlocuzione con i Paesi spossati dalla guerra e dalla fame. In modo da realizzare, in quei luoghi, le condizioni complessive nonché le strutture adeguate (come scuole di avviamento al lavoro) per incentivare, nel tempo, un’immigrazione qualificata da occupare nella produzione e nei servizi.

 

Si tratta di un lavoro che potrà produrre frutti solo se ci sarà una continuità d’azione indipendentemente dal colore del governo che gestirà le sorti del Paese. È necessario aprire una nuova stagione politica, capace di coinvolgere attivamente il Parlamento, che faccia uscire questo problema dal ghetto per portarlo al livello decisivo dei flussi migratori necessari a bloccare la riduzione della popolazione.

 

Gli auspicati flussi migratori dovranno poi essere redistribuiti con raziocinio, al fine di evitare che il Meridione diventi la terra di nessuno: nel quadriennio 2019-2022, infatti, il Sud ha perso il 2,4 per cento della popolazione, contro l’1 per cento del Settentrione.

 

Questa riflessione è stata scritta dopo la tragedia di Cutro, che ripropone con ancora maggiore forza l’urgenza dello sviluppo operativo delle mie considerazioni.